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L’EDUCAZIONE  PSICOMOTORIA DEL FANCIULLO NON VEDENTE

 

Sommario

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PARTE PRIMA

 

Il concetto di psicomotricità

Sviluppo storico del concetto di psicomotricità

Apporti neurofisiologici

Apporti psicologici

Il contributo della psicologia dello sviluppo

Apporti psicoanalitici

Apporti psicopatologici

Apporti operativi

Lo sviluppo della Psicomotricità in Italia

Schema riassuntivo dello sviluppo storico della psicomotricità.

Tavole. 1 - 2-3

PARTE SECONDA

Le basi neurofisiologiche del movimento

Classificazione dei movimenti

Motivazioni al movimento

Componenti del movimento

Evoluzione del movimento

L’educazione psicomotoria e il fanciullo cieco

Lo sviluppo psico-motorio

Dove osservare.

Quando osservare.

Acquisizione dello schema corporeo nel bambino non vedente

Prerequisiti per una corretta educazione motoria

L’orientamento spaziale

La rappresentazione mentale

La costruzione immaginaria dello spazio

Situazione-stimolo per lo sviluppo motorio

Area della lateralizzazione

Area dell’equilibrio statico

Le attività grafiche e figurative

Il movimento ritmico e la strutturazione temporale

L’educazione posturale e del tono muscolare

L’educazione gestuale come linguaggio extra-verbale

Valutazione dello sviluppo psicomotorio del bambino cieco e analisi degli obiettivi didattici

Analisi degli obiettivi didattici

Finalità

Conoscere il proprio corpo e le sue possibilità

Avere una sufficiente autonomia personale

Riuscire a fissare e a mantenere l’attenzione fino a che non ha portato a termine un compito

Sviluppare la comprensione e l’espressione dei linguaggi sociali della realta’

Favorire l’organizzazione delle conoscenze per individuare le regolarita’ e le caratteristiche invarianti

Scheda d’osservazione sul comportamento motorio-percettivo-sensoriale e di organizzazione spaziale del bambino non vedente.

PARTE TERZA

Ipotesi d’intervento educativo

Il gioco e la minorazione visiva

Attività ludica e sviluppo dei sensi sostitutivi

Il gioco come fondamentale fattore di socializzazione

Premesse metodologiche per i giochi dei non vedenti

Il gioco secondo la pedagogia di Augusto Romagnoli

Lo sport ed il suo valore formativo

CONCLUSIONE

In un’ottica pedagogica

NOTE BIBLIOGRAFICHE

 

 

L’EDUCAZIONE PSICOMOTORIA

DEL FANCIULLO NON VEDENTE

 

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PARTE PRIMA

 

 

Il concetto di psicomotricità

Il termine psicomotricità viene usato per la prima volta dallo psichiatra austriaco Wernicke nella sua opera del 1900 "Gundriss Der Psychiatrie", in riferimento all’adulto.

Lo psichiatra francese Dupré, con il suo rapporto sulla debilità motoria al congresso di Nantes del 1909, introdusse invece il concetto di psimotricità nel bambino.

La motricità, come è noto, è il supporto essenziale della vita di relazione e per tale motivo ha una struttura complessa esprimendo tanto i comportamenti elementari, quanto le condotte relazionali di alto valore espressivo.

Motricità e psichismo presentano relazioni tanto strette che sono stati considerati due aspetti della stessa organizzazione personale.

La motricità è, infatti, satura a tutti i livelli di componenti psichiche: il livello di vigilanza condiziona l’intensità della risposta riflessa, il tono posturale è influenzato dalla tensione emotiva, il gesto automatico è correlato col sistema inconscio dei bisogni e degli effetti, l’iniziativa prassica è modellata sull’obiettivo spazio-temporale e illuminata dagli aspetti dell’intenzionalità.

La vita psichica, a sua volta, è satura di motricità: basti pensare che il movimento serve da supporto alle prime rappresentazioni mentali, che le prime conquiste dell’apprendimento sono le associazioni percettivo-motorie, che a queste seguono gli schemi di comportamento e che solo in seguito si sviluppano le capacità di risolvere i problemi astratti del pensiero. L’evoluzione mentale è dovuta ad una maturazione parallela dei versanti conoscitivo ed operativo, ma il versante operativo, secondo Wallon, ha il ruolo di organizzatore dello sviluppo e, secondo Piaget, tutti i meccanismi conoscitivi poggiano sulla motricità.

Si può dire, in altri termini, che l’attitudine al movimento condiziona i processi astrattivi o addirittura, che il pensiero è uno schema motorio interiorizzato.

Il paradigma di questa correlazione è rappresentato dal linguaggio in cui l’attitudine verbo-motoria è espressione di un particolare livello di organizzazione psichica, ma è a sua volta, la condizione ed il substrato dello sviluppo concettuale.

Se analizziamo i diversi tipi di condotte motorie scopriamo due leggi generali:

 

Il movimento dell’essere vivente non si realizza per unità singole ed autonome (come succede in un manichino), ma piuttosto per schemi o modelli o patterns globali, secondo un’attitudine costante del sistema nervoso centrale (a cui corrisponde il globalismo percettivo).

Esistono vari livelli di comportamento, gerarchicamente ordinati, dei quali i superiori assumono gli inferiori e li subordinano a finalità più complesse e specifiche. Fra tali livelli dobbiamo ricordarne due fondamentali: quello rappresentato dagli aspetti formali o esecutivi del movimento (rapidità, forza, agilità e destrezza secondo De Lisi) e quello costituito dal tipo dell’azione in cui viene utilizzato il movimento stesso e cioè dalla rappresentazione percettiva o intellettuale che lo precede.

 

Il secondo livello distingue, in modo sostanziale, la motricità dell’uomo da quella dell’animale o subumano.

L’analisi dei livelli è spesso difficile nell’adulto normale, in cui il movimento ha una struttura unitaria, ma è ben apprezzabile in età evolutiva secondo una prospettiva genetica, e soprattutto nella patologia motoria.

Le condotte motorie più complesse maturano nel corso dello sviluppo come conquiste relazionali e presentano alcuni caratteri essenziali:

 

Giusta successione temporale e adeguato rapporto con le distanze spaziali (condizione e conseguenza del movimento armonico ed economico).

Integrazione delle singole unità motorie in uno schema programmatico ordinato ad un fine (prassie)

Distribuzione dei compiti fra condotte automatiche, che servono di supporto e di completamento ed iniziative cinetiche ricche di intenzionalità, che rappresentano le vere condotte di vertice a cui tutta la motricità resta subordinata.

 

Questo sviluppo avviene nell’ontogenesi secondo modalità e tappe non ancora chiarite, con la concorrenza dei processi di maturazione neurobiologica e l’apporto di stimoli esogeni; i primi condizionano la formazione di circuiti polisinattici e di sintesi funzionali (ad es. l’integrazione tra l’esperienza visiva e quella cinestesica), i secondi fissano gli automatismi e sollecitano le scelte di vertice per la loro carica affettiva che è ricca di pregnanza motivazionale.

Maturazione endogena e stimoli esogeni permettono pertanto di raggiungere i seguenti obiettivi:

 

L’integrazione posturo-cinetica, che sfrutta le informazioni propriocettive (spazio posturale di Wallon) come supporto riparo e controllo dei movimenti attraverso meccanismidi fee-back.

La sintesi spazio-temporale, che permette la conquista dello spazio oggettivo (in opposizione allo spazio soggettivo o posturale), e quindi l’ambientazione finalistica del movimento.

L’integrazione dei riflessi e degli automatismi nella struttura dell’atto complesso e la loro perfetta inibizione, quando ne sono estranei e ne danneggiano l’economicità funzionale.

La costituzione di un fondo motorio attraverso la progressiva automatizzazione dei movimenti acquisiti e la fissazione dei loro schemi o patterns nel S.N.C. Ciò permette sempre nuove scelte motorie, connesse con gli attributi di vertice della vita psichica, e consente quindi alla motricità di conseguire la sua massima funzione relazionale.

 

Il mancato raggiungimento di questi livelli di maturazione, determina una patologia motoria che interessa particolarmente gli aspetti programmatici del movimento (disposizioni motorie o immagini psichiche di Wallon).

In tal caso non appaiono compromesse le funzioni statiche, deambulatorie o prensili ma, piuttosto, le attitudini manipolatorie, costruttive, grafo-motorie, ecc. e cioè il gesto prassico e la motricità espressiva.

Le motivazioni di tale insufficienza possono essere molteplici sia a carico delle funzioni simboliche che guidano l’azione (programma primario), sia a carico delle traduzioni spazio-temporali (programma secondario). Ne conseguono comunque movimenti poveri di intenzionalità e di finalismo, ovvero impaccio, goffagine, automatismi difettosi, gestualizzazione e mimica inespressive.

C’è pertanto, una patologia prevalentemente neuromotoria che abbraccia tutti i quadri deficitari o disarmonici di livello esecutivo (in cui l’alterazione motoria si associa a disturbi del tono, del trofismo muscolare, dei riflessi, delle reazioniautomatiche, ecc.) ed una patologia prevalentemente psicomotoria in cui è colpita la programmazione del movimento relazionale.

Sviluppo storico del concetto di psicomotricità

 

Apporti neurofisiologici

 

All’inizio del XX secolo alcuni studi innovativi nel campo della neurologia hanno costituito il presupposto per la nascita del concetto di psicomotricità. la patologia corticale il modello anatomo-clinico, che stabiliva una corrispondenza rigorosa tra lesione corticale e sintomo, viene ad essere superato da alcuni studi di Liepmann e Monakow (1900-1914) sull’attività gestuale.

Essi sostenevano che l’attività gestuale poteva essere perturbata senza che vi fosse una lesione in una sede anatomica circoscritta della corteccia cerebrale.

Il neuropsichiatria A.Dupré studia la sindrome di debilità motoria in rapporto alla debilità mentale.

Egli attribuisce questa sindrome ad una insufficienza di maturità del sistema celebrale.

Fino ad allora essa era invece attribuita ad una lesione del sistema piramidale, considerato supporto anatomico esclusivo del movimento volontario.

Il suo allievo Heuyer, titolare della prima cattedra di neuropsichiatria infantile a Parigi, utilizza il termine psicomotricità per definire la connessione stretta tra lo sviluppo della motricità, dell’intelligenza e dell’affettività.

Dal 1936 egli introdusse in Francia, negli interventi di terapia, la ginnastica ritmica e gli esercizi per un miglioramento funzionale dei bambini ritardati, rifacendosi a precursori specializzati in campo medico-pedagogico quali Decroly, Froebel, Montessori.

Fino a questo momento, però, nell’ambito della neuropsichiatria, la problematica della motricità è ancora posta in termini dualistici.

Con questo termine, per quanto ci si sforzi di cercare un tramite fra psiche e soma, si continua a differenziare i due modi di attività dell’essere: attività motoria da un lato e attività mentale, con le componenti affettiva e cognitiva, dall’altro.

Nella neurofisiologia s’inizia nel frattempo a studiare l’individuo nella sua relazione con l’ambiente, anziché in situazioni di laboratorio.

Sherrington introduce il concetto d’azione integrativa del sistema nervoso: tutti i movimenti hanno un significato biologico per il funzionamento dell’organismo.

In questo periodo ci si pone il problema di comprendere alcuni disturbi della padronanza dell’azione legati alla percezione del proprio corpo.

La ricerca verte, intorno al 1900 con Reil, sulla funzione sensoriale che permette ad ognuno di avere un’immagine mentale del proprio organismo.

Reil conia il termine cenestesi giungendo alla formulazione di uno schema di connessioni: da un lato le sensazioni enterocettive che stanno alla base della percezione corporea, dall’altro quelle esterocettive, che fondano la conoscenza sul mondo esterno.

Era però necessario garantire una permanenza della rappresentazione corporea.

E’ il medico francese Bonnier (1905), a fornire per primo il termine schema per indicare la rappresentazione topografica del corpo che ciascuno organizza mediante l’esperienza.

Questa nozione di schema viene approfondita da Pick, secondo il quale la conoscenza topografica del nostro corpo deve essere assicurata da una mappa mentale derivante da associazioni di sensazioni propriocettive e sensazioni visive.

Head sviluppa il concetto ipotizzando un tipo di schema posturale plastico che si modifica a seconda degli apporti sensoriali e cenestesici, e una mappa della superficie del corpo che permette di localizzare il punto in cui la pelle viene toccata. Il neuropsichiatra e psicoanalista austriaco Schilder arricchisce e rielabora il concetto di schema corporeo di Head. Questo non viene più concepito come modello posturale a base esclusivamente cognitiva, ma anche come strutturazione dell’investimento libidico integrando alla neurofisiologia, quindi, gli apporti psicoanalitici.

Comincia così a strutturarsi l’immagine dinamica di conoscenza corporea quale processo di differenziazione e integrazione di tutte le esperienze incorporate nel corso della vita evolutiva di ogni individuo.

Apporti psicologici

Il contributo della fenomenologia

 

M. Ponty integra gli studi di Schilder, che sviluppano la strutturazione dell’immagine del corpo, con l’avvio di una deduzione psicopedagogica. Egli sostiene che lo schema corporeo si modifica in rapporto ad un adattamento all’ambiente; se vi è una consonanza fra corpo e mondo naturale che presuppone un’unità fra motorio e percettivo, fra sensomotricità e parola, la strutturazione dell’immagine del corpo avviene solo in relazione con gli altri e con il mondo.

Il contributo della psicologia dello sviluppo

 

Dal 1900 al 1950 in un ricco contesto di studi dedicati a fondare la scienza dell’evoluzione umana, Wallon dà corpo all’affermazione di Merleau-Ponty producendo un modello organizzato dello sviluppo psicomotorio.

Egli affronta il problema dell’immagine del corpo da un punto di vista genetico cercando di definire attraverso quali fattori e in quali aspetti significativi si sviluppano nel bambino la conoscenza del corpo e la formazione dell’identità.

A questo proposito Wallon sottolinea l’importanza dell’emozione intrinsecamente connessa al tono muscolare: la funzione tonica, secondo questo autore, permette l’esteriorizzazione della vita affettiva e quindi la comunicazione e lo scambio.

Il tono muscolare è lo stato di attività muscolare sublimare che viene regolato dai riflessi miotattici e che si traduce nel mantenimento dell’equilibrio e delle attitudini posturali.

Contribuiscono a determinarlo sia una componente informativa esterna, sia la variazione interna di tensione emozionale.

Per attività tonica pertanto s’intende l’attività muscolare sempre presente e diversa, allo stesso tempo, per ciascun individuo e legata al suo stato emozionale; per attività clonica si intende l’attività muscolare presente solo nel movimento che, a seconda del tipo, interessa in modo diverso le parti del corpo.

Ogni attività tonica è complementare all’attività clonica e indissociabile da essa: questa si esprime attraverso gli effettori e si traduce negli spostamenti segmentari.

La funzione tonica di due organismi in stretto rapporto vitale, sostiene la prima comunicazione madre-bambino.

Questa primitiva relazione avvia il passaggio di simbiosi fisiologica con l’ambiente a simbiosi affettiva che si esprime attraverso stati motori reciprocamente influenzantisi, preludio della comunicazione verbale.

Tale funzione viene definita dall’autore stesso dialogo tonico.

In questa oggettivazione del proprio corpo e individuazione dell’altro, una tappa molto importante, ripresa e analizzata da Lacan e Merleau-Ponty, è rappresentata dall’esperienza dell’immagine speculare che permette l’acquisizione dell’immagine visiva del proprio corpo con la possibilità di distinguerle dall’esperienza vissuta.

Inoltre il bambino, mentre si vede allo specchio, può raffigurarsi l’immagine che l’altro ha di lui.

E’ un primo passo verso la relazione di reciprocità, verso lo stadio della personalità polivalente – sei anni - in cui il bambino sa adattare le sue condotte a circostanze particolari con una conoscenza più precisa e più completa di se stesso.

H. Wallon quindi afferma l’importanza del movimento e soprattutto dell’emotività di cui questo è permeato per l’acquisizione dell’immagine del proprio corpo e della coscienza di sé, fondamentali nello sviluppo affettivo e cognitivo.

Wallon esamina lo sviluppo della personalità in una sequenza precisa di stadi:

stadio dell’impulsività motoria, che corrisponde alla simbiosi fisiologica dei primi mesi di vita.

stadio emotivo (primo anno di vita) in cui si instaura un’unione tale tra bambino e ambiente familiare che il bambino non riesce a distinguersi da esso.

stadio proiettivo (secondo anno di vita), a cui il bambino accede a poco a poco con l’ampliamento del suo spazio di esplorazione attraverso l’acquisizione della deambulazione e del linguaggio. In tale periodo egli cerca la propria identità proiettando se stesso in ruoli diversi; la sua azione oltre che esecutrice diventa stimolo per l’attività mentale; è solo tramite il movimento e l’espressione di sé che il bambino si impadronisce del mondo esterno.

stadio del personalismo (terzo anno di vita), in cui il bambino giunge a considerarsi persona distinta dall’ambiente.

Anche J. Piaget, nello stesso periodo (1900-1950), si occupa della motricità in rapporto soprattutto allo sviluppo cognitivo del bambino.

Secondo l’autore l’evoluzione verso la rappresentazione mentale passa attraverso:

 

l’imitazione che assicura il passaggio dal sensomotorio al rappresentativo, dal gioco funzionale al gioco simbolico.

L’imitazione differita, non immediata, ma che avviene in un secondo tempo, con una primitiva interiorizzazione dell’atto e delle circostanze.

L’immagine mentale che risulta dall’immagine interiorizzata.

 

Assimilare un oggetto ad uno schema è dunque, secondo Piaget, tendere allo stesso tempo a soddisfare un bisogno ed a conferire una struttura cognitiva all’azione.

Tra Wallon e Piaget esistono punti di vista discordanti proprio in relazione all’aspetto emozionale.

Piaget prende in considerazione il versante emozionale sotto forma di bisogno che investe la realtà e che quindi si struttura quale motivazione alla conoscenza.

Wallon centra la natura affettivo-espressiva dell’uomo mettendo in luce il rapporto tra emozione e plasticità tonico-corporea in funzione relazionale.

Apporti psicoanalitici

 

Gli studi psicoanalitici e le teorie psicodinamiche hanno avuto, a loro volta, una notevole influenza sull’elaborazione teorica della pratica psicomotoria.

E’ innanzi tutto importante chiarire che tale complesso aspetto degli studi psicologici è storicamente centrato negli stessi anni (1900-1950)

Inoltre sia l’attenzione neurofisiologica, sia quella psicologica, convergono sul bambino e, soprattutto, ambedue contribuiscono, in tale periodo, alla rivoluzione concettuale in atto anche in altri settori scientifici, dalla scienza delle strutture alla conoscenza delle dinamiche.

A partire da Freud, ancora profondamente radicato al senso biologico dello sviluppo, la concezione della libido originaria, che include in un unico aspetto il futuro fisico-psichico dell’individuo, supera definitivamente la possibilità di relegare il corpo entro il materialismo strutturalista.

M. Klein offre un apporto suggestivo, anche se non sempre criticamente utilizzato, con la concezione non più solo dell’immagine corporea, ma del corpo-immagine, e soprattutto immagine relazionale primaria.

Seguono gli studi della Klein le significative elaborazioni evolutive di R. Spitz e W. Winnicott attraverso le quali l’immagine di sé si va strutturando quale luogo di investimento incrociato dal bisogno soggettivo al reale e dall’altrui desiderio verso una differenziazione specifica.

Bowlby e Winnicot, in un periodo più recente, riprendono in termini psico-dinamici, entro il contesto culturale affermato della teoria delle relazioni oggettuali, il significato strutturante dell’emotività, indicato da Wallon, pervenendovi da tutt’altra partenza teorica e approfondendone le implicazioni.

Veniamo così a concepire una vera e propria inversione di valori: l’individualità nascente, quale attivo organizzatore del reale psico-fisico a partire dall’investimento affettivo.

Questa impostazione psico-dinamica, con tutte le ampie e complesse derivazioni di maturazione e di salute o malattia, apre la strada a più recenti assetti teorici degli studi psicologici che approfondiscono i risvolti e il significato della relazione interpersonale quale settore formativo della personalità.

Tale contributo rappresenta il cardine teorico di uno dei più importanti aspetti della metodologia psicomotoria, quello relazionale: la competenza di conduzione del dialogo, l’animazione e la proposta di una richiesta precisa, l’osservazione e l’interpretazione della propositività del bambino.

Un dibattito teorico importante da parte di più studiosi (Freud, Rogers, Lacan, Shaffer) è in atto in psicologia sull’equilibrio tra partecipazione e responsabilità di conduzione nel contesto di un progetto educativo.

Apporti psicopatologici

 

L’autore che ha offerto il primo contributo di diretto interesse nel campo psicomotorio è Jean de Ajuriaguerra, il quale affronta la psicomotricità non in termini di descrizione clinica e d’intervento, ma considerando le possibili deviazioni dei processi di sviluppo. Egli, con una formazione multidisciplinare, cerca di andare oltre il dualismo corpo-psiche nello studio dell’evoluzione e nell’osservazione dell’organizzazione della personalità in rapporto con l’ambiente.

Questa organizzazione, secondo l’autore, è retta da leggi di equilibrio biologico che costituiscono strumento di regolazione fra soggetto e realtà.

Partendo da una formazione psichiatrica neurologica, Ajuriaguerra elabora la prima teorizzazione di una pratica psicomotoria che integra apporti diversi.

Fa propri i concetti di Wallon riguardanti lo sviluppo affettivo e il dialogo tonico, integrandoli con gli apporti psicoanalitici (Winnicott, Bowlby, Spitz…); la prima relazione madre-bambino con le componenti motorie, tonico-espressive (tono, sorriso, sguardo, mimica) viene considerata nei suoi studi come la prima forma di contatto psico-sociale che rimane costantemente presente in qualunque modalità di comunicazione successiva.

Fin dalla nascita il bambino si pone in relazione con il mondo esterno attraverso il tono tramite il quale subisce le variazioni ambientali di cui la madre è mediatrice e modifica il suo comportamento in relazione ad esse.

Ajuriaguerra riprende gli studi di Piaget e Wallon sulle prime fasi dello sviluppo motorio, considerandolo sia sotto il profilo psicologico quale strumento di appropriazione della realtà, sia sotto quello clinico quale indice significativo di problemi psicopatologici.

Egli propone con specificità il termine di disturbo psicomotorio, descrivendo un quadro clinico dei disturbi con relativo approccio terapeutico, visto come pedagogia adattata a disfunzioni specifiche.

In questa metodologia introduce la coordinazione statica-dinamica e quella oculo-manuale, l’organizzazione spaziale della gestualità, la strutturazione dello schema corporeo, l’affermazione della lateralità, il dominio tonico.

In campo più operativo l’autore affronta con alcuni suoi collaboratori, in due opere, i problemi di evoluzione del gesto grafico e della scrittura con relative implicazioni neurofisiologiche, psicologiche e psicopatologiche.

Dobbiamo ad Ajuriaguerra il primo modello strutturato di scuola per terapisti della psimotricità istituita a Ginevra, nella seconda metà degli anni ’50, all’interno del servizio medico-pedagogico.

Apporti operativi

Dal 1925 al 1950 gli studi sulla psicomotricità, pur evolvendosi sia in campo teorico sia in campo applicativo, rimangono ancorati al parallelismo psicomotorio; non riescono cioé a superare, per influenza del dualismo filosofico, la sola correlazione mente-psiche.

Nel decennio 1963-1973 la psicomotricità assume sempre più significativo come disciplina in campo riabilitativo e terapeutico con diverse modalità d’applicazione nella pratica.

In Francia possiamo individuare almeno tre correnti:

 

Rieducazione psicomotoria eclettica

Terapia psicomotoria specifica

Educazione-rieducazione psicomotoria

 

La prima corrente è sostenuta da G. Heuyer, titolare della prima cattedra europea di Psichiatria Infantile, L. Michaux e altri nella Facoltà di Medicina dell'Università di Parigi, in cui ha luogo la formazione dei primi rieducatori ufficiali in Francia.

Questa corrente è caratterizzata dalla varietà dei mezzi previsti nell’azione educativa ed è basata sul parallellismo.

Tale rieducazione psicomotoria, che non prende in considerazione gli studi psicoanalitici, è destinata a bambini con turbe caratteriali e disturbi del sistema nervoso periferico ma non centrale.

La metodologia si rifà all’Educazione Fisica classica ed a metodi più psicologici quali il rilassamento e l’eutonia.

La seconda corrente è sostenuta da J. Ajuriaguerra, R. Diatkine e loro allievi, tra cui B. Jolivet, autore di numerose pubblicazioni.

Con essa si insiste sulla necessità della presa di coscienza corporea, della realizzazione prassica e della conoscenza. Inoltre definisce la psicomotricità come motricità in relazione con l’altro, quindi ribadisce la necessità di una relazione autentica adulto-bambino.

J.Berges e R. Zazzo, altri collaboratori di Ajuriaguerra, nel Laboratorio di Psicologia dell’Ospedale H Roussell, mettono a punto con Lézine due tecniche di indagine, una basata sull’imitazione dei gesti, l’altra sullo schema corporeo.

Berges ha inoltre approfondito la nosografia (disprassi, disturbi della lateralità) e l’eziogenesi.

Questi autori, con H Bucher e P. Mazo, fondano come gruppo di studio, nel 1965, la rivista Reeducation psycomotrice che diverrà poi Therapie psycomotrice.

La terza corrente è sostenuta da due società:

 

la Società di Professori di educazione Fisica Medici

la Società Francese di Educazione e Rieducazione Psicomotoria

 

Queste si pongono in contrapposizione ai metodi di educazione fisica classica (ginnastica di mantenimento e sport di ispirazione competitiva) ed hanno come progetto comune la messa a punto di un’educazione attraverso il movimento nella quale il movimento non sia un fine, ma un mezzo per fare evolvere il bambino verso una maggiore destrezza, disponibilità ed autonomia.

La Società di Professori di Educazione Fisica Medici pubblica, nel secondo decennio 1961-1971 i Quaderni di educazione Fisica in cui si esprimono Le Boulch, Azémar e Wintrebert.

Le Boulch critica l’uso indiscriminato di metodologie diverse e in opposizione tra loro da parte delle istituzioni ufficiciali, ed elabora, tra il 1960 e il 1966, il metodo psicocinetico destinato ai bambini della scuola primaria.

Per la prima volta si parla di psicomotricità, nell’ambito pedagogico, rivolta a bambini normali.

La psicocinetica non ha però la forza di imporsi ed è progressivamente sopraffatta dal metodo sportivo.

Definita dal suo fondatore scienza applicata, essa si basa su una concezione unitaria e di autonomia della persona, ne considera l’aspetto strutturale, l’aspetto funzionale e l’aspetto evolutivo.

Nell’approfondire le leggi di sviluppo dell’individuo, suppone che lo sviluppo stesso non si faccia in sé, ma in relazione con un ambiente fatto di oggetti e di altri esseri umani.

E’ dalla dialettica dell’essere e dall’ambiente che si produrranno le modificazioni dell’uno sull’altro. E’ nella relazione e nella comunicazione con l’altro che l’uomo si realizza.

Lo scopo assegnato all’educazione del movimento - sempre secondo il pensiero di J. Le Boulch - è di favorire un’espansione umana tale da permettere all’uomo di situarsi e di agire nel mondo in trasformazione per una migliore conoscenza ed accettazione di sé, una migliore conoscenza della condotta, un’autentica autonomia e l’accesso alla responsabilità nel quadro della vita sociale.

In questi stessi anni, parallelamente all’espansione della psicomotricità come nuova disciplina ed al suo approfondimento teorico e metodologico, si attuano in Francia alcuni tentativi di istituzionalizzazione.

Viene fondato un Sindacato Nazionale in difesa della psicomotricità che nel 1968 ne precisa l’originalità in questi termini: La psicomotricità è un’attività terapeutica destinata ad agire con la mediazione del corpo sulle funzioni mentali disturbate e sulle reazioni comportamentali del soggetto; cioè deve permettere al bambino uno sviluppo più armonioso, e all’adulto il riequilibrio psicotonico con la mediazione dell’esperienza corporea.

Si comincia anche a prendere in considerazione la formazione degli operatori.

Nel 1964 la Commissione Interministeriale traccia un’analisi documentata sulla formazione del teraspista in psicomotricità, sul contenuto della formazione e sui bisogni a medio e lungo termine della nazione.

Questo documento che definisce il campo della terapia psicomotoria in rapporto alla cinesiterapia ed alla psicoterapia, non ebbe seguito perché il Primo Ministro istituì il Diploma di Stato di Psicorieducatore.

Per quanto in questo periodo la psicomotricità conosca una grossa espansione, il livello di teorizzazione non va oltre gli scritti di J. Ajuriaguerra che ne rimase il solo teorico.

 

Lo sviluppo della Psicomotricità in Italia

 

Dalla fine degli anni sessanta si comincia a parlare in Italia di psicomotricità, partendo essenzialmente da due dati di fatto:

 

l’esigenza di superare, in campo riabilitativo, un modello strettamente meccanicistico, conduce via via ad una modalità di intervento che non sottovaluta l’aspetto fisico-relazionale del soggetto, ma considera questa componente come base per instaurare un buon rapporto di fiducia e collaborazione fra l’operatore e il soggetto stesso.

 

in ambito educativo in seguito agli studi di Piaget e Wallon, che sottolineano il ruolo del corpo e del movimento nella formazione dei processi cognitivi, si sente la necessità di dare alla corporeità del bambino lo spazio dovuto. Si assiste quindi, nella scuola, al passaggio da un’atteggiamento di massima considerazione della sfera intellettiva, alla rivalutazione dell’elemento corporeo, dell’agire, come veicolo di conoscenza e di relazione.

 

La psicomotricità, nata e sviluppatasi in Francia e in Svizzera, compare in Italia per interessamento di singoli privati che invitano i vari esponenti delle scuole francesi e svizzere (Vayer, Aucouturier, Le Boulch, Lapierre, ecc.) a condurre stage pratici di formazione, attraverso cui le persone interessate si avvicinano e si appropriano di questa pratica con esperienze di vissuto corporeo.

Accanto a questo non va dimenticato che tutta una serie delle più diverse tecniche corporee fiorisce ed invade il mercato dei corsi di aggiornamento e del tempo libero: dalla danza alla espressione corporea, dalla biogenetica allo yoga, senza contare le innumerevoli discipline orientali che ancora oggi proliferano nell’offerta di gruppi privati e di istituzioni.

Indubbiamente questo non fa che confermare la tendenza emergente a considerare corpo e movimento come parte integrante della formazione dell’uomo, tuttavia contribuisce anche ad alimentare una confusione notevole rispetto allo specifico psicomotorio.

Ciò avviene nel momento in cui la proposta di formazione, dapprima diretta essenzialmente al campo terapeutico-rieducativo, investe anche il più ampio territorio padagogico.

La domanda, a metà degli anni settanta, diventa sempre più massiccia da parte degli operatori sociali, sanitari e degli insegnanti; l’istituzione per un certo periodo, tenta di rispondere direttamente, inserendo la psicomotricità nei programmi di aggiornamento.

Quando però la richiesta è di formazione vera e propria, di approfondimento, non esiste una risposta ufficiale da parte delle istituzioni ed è nuovamente l’iniziativa privata a darla.

Nel corso degli anni sono sorte in Italia numerose associazioni, alcune delle quali aprono vere e proprie scuole di psicomotricità, per lo più ad indirizzo rieducativo-terapeutico.

E’ da sottolineare l’iniziativa di G. Bollea di costituire un’associazione nazionale che ha il duplice scopo di impostare dei programmi comuni a tutte le scuole e di ottenere dal Governo il riconoscimento ufficiale della figura professionale dello Psicomotricista quale educatore /operatore sanitario.

Dopo l’iniziale lungo periodo di confusione e divario fra le varie correnti, è questo un primo momento di chiarezza che apre la strada ad una definizione più precisa sia degli ambiti, sia del ruolo della psicomotricità.

Schema riassuntivo dello

sviluppo storico della psicomotricità. Tab. 1

 

 

 

Studi sulla

Patologia corticale

Superamento del modello anatomo-clinico e localizzazione corticale.

 

 

Studi sulla

neurofisiologia

Sherrington: azione integrativa del sistema nervoso.

 

 

 

 

 

Studi di neuropsichiatria

Dupré: sindrome di debilità in rapporto alla debilità mentale.

Heyer: 1a cattedra di neuropsichiatria, introduzione di tecniche motorie nei servizi.

Ajuriaguerra: studi sullo sviluppo motorio come integrazione, apporti di psicologia e psicoanalisi.

Wallon: classificazioni delle sindromi psicomotorie. Motricità come preludio alla comunicazione: funzione tonica.

Piaget: motricità come preludio alla strutturazione dell’intelligenza.

Psicoanalisi

 

 

 

1900-1950 studi sul significato psicodinamico della motorietà del bambino.

Freud: motricità investita con esistenza fantasmatica.

Spitz: effetto delle carenze affettive precoci sul movimento e sullo sviluppo del bambino.

Tav. 2

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NEUROLOGIA

PSICOMOTRICITA e tecniche di riadattamento

FORMAZIONE: attraverso il vissuto

TRANSFERT: il vissuto agito sul reale

COMUNICAZIONE NON VERBALE: non preponderande; comunicazione corpo-oggetto

PSICHE

PSICOTROPISMO

 

 

 

 

 

 

 

SOMA

SOMATROPISMO

PSICOTERAPIA

PSICOANALISI

 

FORMAZIONE: attraverso l’analisi personale

TRANSFERT: agito sul linguaggio

COMUNICAZIONE

NON VERBALE: può essere usata per arrestare o scatenare

un movimento transferenziale.

Tav. 3

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RIEDUCAZIONE

PSICOMOTORIA

ECLETTICA

HEHYER, MASSON, MICHAUX,

Facoltà di Medicina di Parigi, sede di formazione dei primi rieducatori ufficiali.

Pedagogia basata sul parallelismo psicomotorio.

Metodologia: non prende in considerazione la psicoanalisi, ma l’educazione fisica classica e tecniche di rilassamento.

Utenza: bambini con turbe caratteriali o disturbi del S. N. P.

 

 

TERAPIA

PSICOMOTORIA SPECIFICA

Ajuriaguerra, Diatkine e allievi (Johivet, Berges)

Ospedale Henrj Roussel – Parigi

Pedagogia: adattata a disfunzioni specifiche, che integra neurofisiologia, neuropatologia, psicologia, psicoanalisi; messa a punto di tecniche di indagine.

Considerazione della relazione B-A

Metodologia: introduzione di coordinazione statica, dinamica, oculo-manuale (spazio-tempo), schema corporeo-lateralizzazione-tono.

Utenza: bambini con disturbi dovuti a danno cerebrale e a disadattamento psicosociale.

Società Francese di professori di E.F., medici Le Boulch, Haure, Azemar.

Pedagogia: slegata dai canoni della rieducazione – La Psicocinetica (1960-66)

Metodologia: coordinazione motoria, percezione e conoscenza del corpo/percezione temporale/gioco con regole.

Utenza: bambini della scuola primaria.

S:F:E:R:P:M: Vayer, Lapierre, Aucouturier (Tours)

Pedagogia: dati di neurofisiologia e psicologia dello sviluppo.

Metodologia: evidenzia l’espressione e la comunicazione corporea.

Utenza: bambini normali e handicap.

PARTE SECONDA

 

 

Le basi neurofisiologiche del movimento

 

L’elemento motorio, che è alla base di ogni attività dell’uomo, nel bambino cieco incontra notevoli difficoltà di realizzazione. Infatti, la mancanza della vista impedisce che l’attività motoria segua un normale sviluppo e le stesse tappe evolutive del bambino vedente.

Si è sempre pensato che il punto di partenza del movimento, fosse a livello corticale e che i muscoli fossero dei semplici effettori senza attività propria.

Recenti studi hanno invece rivelato che i muscoli hanno una funzione attiva e che il movimento non si esprime a livello lineare (partenza dalla corteccia, arrivo al muscolo) ma che si può parlare piuttosto di un feed-back.

Questo comporta la considerazione del movimento come un circuito che, una volta innescato, continua a persistere fino al termine dell'azione che si vuole compiere.

 

Classificazione dei movimenti

 

- Movimenti di tipo riflesso (involontari)

Movimenti di tipo automatico (ereditati e acquisiti)

Movimenti di tipo intenzionale: in questa classificazione c'è una specie di gerarchia.

Il movimento di tipo riflesso è del tutto involontario, l'automatico ereditario è caratteristico della specie a cui si appartiene (es.marcia), l'automatico acquisito é un movimento volontario che diventa poi movimento automatico quando si è appreso il movimento corretto (es. guida dell'automobile).

Il movimento volontario è in pratica un'inibizione di quello automatico (es. fermare l'automobile).

Tutto il movimento è un continuo innesto di automatismi più complessi su automatismi meno complessi, atti volontari su automatismi anche molto complessi.

Motivazioni al movimento

Il movimento intenzionale è qualcosa che supera l'organico perché si inserisce nella vita affettiva, e la vita affettiva non risiede in strutture organiche.

Quest’affermazione è in antitesi con le vecchie concezioni delle varie zone del cervello adibite a funzioni.

Per fare un esempio, possiamo definire la memoria.

Essa è un processo che lega tutte quelle infinite possibilità di combinazione di neuroni che permettono di rievocare.

La memoria in sé è un concetto astratto e quindi non può avere una sede organica.

Ovviamente tutto il substrato organico è necessario per la motricità ed occorre che tutto sia integro, ma c'è automaticamente una sovrapposizione dello psichico sull'organico che è la vita emotiva.

Il processo di sviluppo del movimento agisce con un processo selettivo, cioé inibisce i circuiti inferiori e consente la scelta del movimento determinando quindi una prevalenza di circuiti superiori che sono legati al sistema psichico degli affetti.

Se è vero che ogni livello superiore comprende e integra tutti i livelli inferiori, il livello massimo è quello della sfera dei bisogni e degli affetti e quindi quel livello comprende e organizza tutti i livelli inferiori, ecco perché si può parlare di psicomotricità.

 

Componenti del movimento

Il movimento è un fenomeno spaziale e temporale, non può esserci quindi un suo sviluppo senza un'organizzazione e una strutturazione nello spazio e nel tempo.

Lo spazio è percepito dal bambino nella direzione di un oggetto.

Per gli adulti, poiché molti movimenti si sono automatizzati, è difficile capire che ogni movimento ha un'ampiezza e una durata.

Se per esempio pensiamo al gioco della pallacanestro ed alla correzione dei gesti per riuscire a mandare la palla nel canestro, ci si può rendere conto di tutta la serie di aggiustamenti e adeguamenti del tono necessari all'ampiezza del gesto.

Ciò vuol dire che la vista e la sensibilità propriocettiva mandano informazioni ai muscoli per le correzioni da apportare.

Il bambino si trova perennemente in questa situazione, egli deve continuamente modificare e adeguare il proprio comportamento motorio alla situazione mutevole e deve tenere conto degli sbagli fatti per arrivare al movimento adeguato.

I canali informativi sono la sensibilità propriocettiva, la vista e l'udito.

Il bambino vive lo spazio grazie a queste informazioni. Queste informazioni vengono memorizzate, vale a dire che si creano delle connessioni tra i diversi e le diverse cellule in modo da coordinare il lavoro muscolare.

Da questo si vede che tutte le esperienze e aggiustamenti spaziali nascono dal movimento.

Quando un bambino comincia a fare esperienza con il proprio corpo nello spazio, potrà fare esperienze successive mettendosi in rapporto con gli oggetti: dapprima arriverà a comprendere la relazione spaziale tra sé e un oggetto e poi anche quella tra due oggetti.

Per fare questo ci vuole un'elaborazione notevole; capire, infatti, in che rapporto spaziale stanno due oggetti fra di loro comporta sperimentare che cosa è lo spazio, vivere la relazione tra se e l'oggetto, collocare i due oggetti in rapporto tra loro.

Questa maturità arriva verso i sei e i sette anni (studi di Piaget).

Il tempo è l'altra componente del movimento.

Anche le prime percezioni del tempo sono strettamente legate all'affettività, come per lo spazio se si compie un gesto veloce o uno lento, si avranno delle informazioni visive e propriocettive diverse.

Il bambino elabora poi queste informazioni e impara a vivere i suoi gesti in relazione con gli oggetti e con il tempo, cosi come impara a percepire dei gesti in sequenza; la distinzione avviene prima dell'esecuzione.

 

Evoluzione del movimento

Le prassie, movimenti intenzionali, cominciano ad apparire verso i due anni anche se ancora su base imitativa. L'imitazione potrà poi essere differita via via che il bambino cresce.

Il bambino piccolo posto di fronte ad una sequenza di movimenti la imita, non ha però ancora conquistata, a livello

neurologico, la maturazione necessaria per rappresentarsi un'azione prima di compierla.

Il bambino dagli otto ai nove anni ha già dentro di se i parametri per scomporre il movimento: può scomporli, assumerli dentro di se e ricomporli avendo acquisito lo schema a cui riportarli.

Più tardi, dai dieci a dodici anni, il bambino non avrà più bisogno di indicazioni, potrà addirittura inventare gesti propri. E' il momento del creativo, dell' autonomia gestuale.

Egli stesso avrà talmente interiorizzato le componenti del movimento, spazio, tempo e schema corporeo, da potersi creare i suoi schemi in modo originale, senza bisogno di modelli.

La creatività motoria nasce da questo momento.

L’educazione psicomotoria e il fanciullo cieco

 

Nella cultura contemporanea sta acquistando una valenza sempre più importante l’educazione psicomotoria, la quale non è, come sottolineano anche i nuovi programmi per la scuola (D.P.R. 12-2-1985 n. 104), finalizzata unicamente allo sviluppo biologico del corpo, bensì anche al raggiungimento di obiettivi formativi relativi alla dimensione morfologico-funzionale, intellettivo-cognitiva ed affettivo-morale della personalità.

Pertanto, se oggi la psicomotricità non va più intesa come mera forma di terapia, ma come approccio educativo volto a favorire la strutturazione della personalità, non può essere ignorato l’importante ruolo che essa verrebbe a rivestire nell’educazione di soggetti con handicap.

L’educazione nel minorato visivo, così come quella d’ogni altro individuo che non ha problemi di sorta, è da intendersi non soltanto come un’acquisizione di conoscenze teoriche, ma anche quale accoglimento e pratica di modelli comportamentali, che regolano il vivere della comunità di cui egli è parte.

Appare chiaro che l’entrare in possesso dei patterns culturali della società d’appartenenza richiede, per chi non vede, un sacrificio maggiore rispetto allo sforzo di colui che può avvalersi della vista, la quale consente al soggetto la possibilità di esercitare un controllo ed un’analisi diretta ed immediata delle situazioni e della realtà circostante, fornendogli l’opportunità di regolare il proprio comportamento nella maniera più rispondente alle diverse circostanze.

L’educazione del cieco, dunque, deve essere finalizzata all’accoglimento ed all’utilizzo di tutti quei modelli comportamentali approvati e sanciti dal vivere sociale, ovvero all’acquisizione della capacità di realizzazione dell’adattamento, tanto alla minorazione ed ai limiti da essa imposti, quanto ad evadere, nel migliore dei modi e nella misura che lo stato minorante consente, le richieste, che la comunità avanza nei confronti di ogni suo membro.

Tale processo di adattamento sarà attitudine a fronteggiare le diverse situazioni di vita proposte dall’ambiente ed è quel che la tiflopedagogia definisce con il termine di "normalizzazione", la quale si rende concreto nell’apprendimento e nello sviluppo di abilità, nell’educazione, nello sviluppo e nell’esercizio dei sensi e delle sensazioni vicarianti della vista, nella rimozione degli effetti secondari della cecità.

La normalizzazione, che si attuerà gradualmente, conducendo l’individuo e regolare il proprio modo di fare, il proprio comportamento, le proprie risposte agli stimoli esterni, a saper contrarre e mantenere rapporti interpersonali, a saper interagire con gli altri e particolarmente con coloro che vedono, è strettamente connessa con una buona educazione motoria.

Di qui, l’estrema ed indiscutibile importanza, nella formazione dei ciechi, che assume la psicomotricità, in quanto armonico sviluppo della mente e dei corpi.

Diamo, a tal punto, una definizione del termine "psicomotricità", dicendo che con tale parola si designa quella tecnica che, nella sua applicazione, considera la stretta correlazione esistente tra l’attività motoria in generale e l’attività psichica nei soggetti in via di sviluppo.

Dalla definizione risulta evidente che il movimento in genere riveste un ruolo basilare per lo sviluppo della personalità integrale del bambino, come, tra l’altro, fanno rilevare anche i nuovi programmi per la scuola elementare del 1985, nei quali viene dato largo spazio all’attività motoria ed all’impegno degli insegnanti nel curare tale aspetto dell’educazione.

L’educazione psicomotoria, tuttavia, non va confusa, come spesso accade, con l’educazione fisica, poiché, mentre quest’ultima si occupa preminentemente dello sviluppo corporeo in senso biologico, ovvero dello sviluppo dei muscoli, delle ossa, ecc., l’altra invece finalizza il suo intervento, oltre che allo sviluppo biologico, alla strutturazione ottimale dello schema corporeo.

Dopo quanto detto, viene da sé che per il privo della vista una buona educazione psicomotoria, più di quanto non lo sia per chi vede, è alla base, come detto, della sua autonomia, nella accezione più ampia del termine.

Se il movimento, in genere, riveste un ruolo di notevole e fondamentale importanza per un corretto sviluppo psichico dell’individuo, da ciò si desume che ogni pratica motoria (attività ludiche, educazione fisica e sport) dà un indiscutibile contributo alla formazione umana, psicologica, socioculturale dell’individuo, formando il carattere, favorendo la fantasia, l’immaginazione, il desiderio di nuove conoscenze, la spontaneità, l’emulazione ed il desiderio di migliorare, la socialità; ineliminabili presupposti, questi, perché il soggetto possa ben relazionarsi con l’ambiente.

Con il presente lavoro si cercherà di esaminare il problema dell’educazione motoria del minorato della vista, analizzando tutte le implicanze che in tale processo educativo vengono proposte dalla cecità.

Annotiamo, in ultimo, ancora, che parlare di educazione psicomotoria dei ciechi significa riferirsi a tutti quegli esercizi pratici ed a tutte quelle conoscenze ed attività volte a sviluppare i vari mondi sensoriali residui e vicarianti della vista (tatto, udito, gusto, olfatto, sensazioni aptiche, anemestesiche, termiche e muscolari), dai quali dipendono adeguate risposte motorie alle stimolazioni provenienti dall’esterno.

Lo sviluppo psico-motorio

 

Lo sviluppo psicofisico dell’individuo si realizza attraverso una serie di fasi che sono strettamente correlate fra loro e finalizzate ad un’ottimale strutturazione dello schema corporeo, quale conoscenza delle parti del corpo su se stessi e sugli altri, delle loro funzioni e della loro localizzazione. Dette fasi di sviluppo sono contraddistinte da fondamentali traguardi motori e psichico-sensoriali; traguardi che si traducono nell’elevazione ed orientamento del capo, nella capacità di strisciare, di andare carponi, di mantenere la posizione eretta, di camminare, nella percezione sensoriale dello spazio e della realtà, nell’attitudine a stabilire dei rapporti affettivi con l’ambiente circostante.

Il bambino sin dai primi mesi di vita comincia a percepire visivamente lo spazio, segue con gli occhi lo spostamento degli oggetti, tendendo le mani per prendere questi, inizia gradatamente a coordinare i movimenti, sino a giungere, intorno ad un anno di vita, a deambulare autonomamente.

Nel bambino che non vede vi è un innegabile ritardo in queste conquiste.

Infatti il piccolo non vedente può relazionarsi con la realtà soltanto mediante il tatto; ma l’esplorazione tattile è più limitata e più lenta, rispetto a quella visiva, legata come è alla capacità di coordinazione, alla motricità fine, alla prensilità digito-palmare, alla bimanualità; attitudini le quali maturano in momenti diversi.

Nei primi anni di vita, dunque, nel bambino cieco, lo sviluppo dell’intelligenza senso-motoria e la coordinazione delle azioni sono seriamente impediti e soltanto un intelligente e tempestivo intervento da parte dei genitori e degli insegnanti potrà ovviare a tale ritardo, dovuto alla mancanza della vista, ma su cui incidono, altresì, nella quasi generalità dei casi, anche gli atteggiamenti ansiosi dei genitori che spesso tendono a rimuovere ogni ostacolo, nel timore che il piccolo vada incontro a dei pericoli, con l’unico risultato di privarlo dei necessari stimoli al movimento.

Stabilire delle tappe nell’evoluzione delle capacità motorie del bambino cieco, riteniamo sia poco opportuno, in quanto la maturazione delle diverse attitudini motorie è connessa con il grado di minorazione del soggetto, con la sua intelligenza e con la qualità dell’intervento degli adulti.

Va, tuttavia, detto che le fondamentali e prime acquisizioni motorie, quali l’elevazione del capo, il procedere carponi, il rotolamento, l’orientamento del capo verso le fonti sonore, si manifestano nel bambino cieco in tempi pressoché analoghi a quelli del bambino che vede, essendo indipendenti dalla funzione visiva.

La definizione sviluppo psicomotorio dunque, rinvia ad una serie di conoscenze teoriche e pratiche che ogni adulto che si occupa di bambini dovrebbe avere. Le tappe dello sviluppo psicomotorio procedono stadio per stadio rispettando una determinata sequenza, ma sono condizionate dal bagaglio ereditario, dal ritmo prensoriale, dall’ambiente e dal tipo di educazione e di affettività ricevuti.

La crescita del bambino non riguarda solo l’aspetto fisico, ma lo sviluppo delle capacità motorie, verbali, grafiche e sociali. La nozione di psicomotricità ricopre il dominio vasto e complesso delle interazioni tra motricità e psiche; si definisce quindi sviluppo psicomotorio l’armonico integrarsi e completamento tra esperienze e capacità motorie, intellettive, sensopercettive e psicoaffettive.

L’attività motoria, in misura che diventa intenzionale, non può essere separata dalla conoscenza e dall’intelligenza e si adatta alle azioni e alle situazioni nuove.

Inizialmente il mondo del bambino è centrato sul proprio corpo, corpo agito e ancora dipendente dall’altro, ma lo sviluppo delle capacità motorie gli permetteranno di diventare un corpo che agisce in sempre più autonomo e volontario.

La prensione volontaria permette al bambino di esplorare, manipolare e conoscere gli oggetti in uno spazio prensile a portata di mano. La deambulazione apre al bambino spazi ben più grandi da esplorare nei quali finalizzare atti, gesti e scoperte.

Lo sviluppo del linguaggio permette al bambino di indicare e chiedere oggetti, di esprimere i suoi desideri e preferenze e di rappresentare con un simbolo le diverse azioni, dimostrando in questo modo di sapere interiorizzare e memorizzare.

Lo sviluppo e l’integrazione delle capacità motorie con le capacità residue (uditive, intellettive e affettive), danno al bambino non vedente la possibilità di trasformare le prime esperienze in vere e proprie attività organizzate.

Dai tre ai sette, otto anni il bambino impara ad organizzarsi nello spazio e nel tempo, a coordinare ed a finalizzare l’atto motorio fino ad acquisire una vera autonomia del gesto grazie ad un’armonico apprendimento e interagenza tra le diverse esperienze.

L’armonico integrarsi, quindi, delle tappe dello sviluppo psicomotorio e psicoaffettivo, sono la premessa di un buon apprendimento scolastico.

L’adulto, tuttavia, deve anche sapere che l’emotività e la consapevolezza di essere osservati possono alterare negativamente i comportamenti motori, verbali e sociali, rallentare o impedire l’apprendimento scolastico.

 

E’ opportuno, dunque, osservare:

 

Capacità e comportamento motorio: come cammina, corre, salta, e scende o sale le scale.

In queste attività di motricità globale, occorre osservare l’uso e la conoscenza dello spazio, il controllo posturale, le eventuali perdite di equilibrio, l’uso della motricità per giocare e socializzare, la modalità nello stare seduto, il tempo personale stesso a stare seduto.

Osservazione della motricità fine: l’abilità delle mani nel vestirsi e nello spogliarsi, nel prendere gli oggetti o l’uso non appropriato delle mani a causa di difficoltà motorie o comportamentali.

Osservare la motricità globale e fine non significa solo fare un’osservazione dell’esecutività dell’atto motorio ma dell’uso e della finalità dell’atto e del grado di autonomia.

Osservazione delle capacità verbali: come comunica, l’uso ed il livello del linguaggio tenendo presente l’ambiente familiare e l’eventuale uso del dialetto.

L’uso del gesto e del corpo nella comunicazione (la comunicazione infatti, non è solo verbale, ma posture, gesti ed espressioni spesso sono la vera comunicazione negata dalla verbalizzazione).

Dove osservare.

L’ambiente classe può dare molte informazioni sul comportamento del bambino, circa l’uso ed il controllo della motricità nelle diverse attività, sia esse richeste che spontanee. Il comportamento motorio è indicativo delle reazioni alle attività della classe: attenzione, tempo di controllo della postura, partecipazione, interesse, passività, rapporto con i compagni e l’insegnante.

La palestra, il corridoio, il cortile, sono spazi diversi dove il bambino non vedente può comportarsi in modo diverso. E’ molto interessante osservare l’uso dello spazio e della motricità secondo l’ambiente in cui esso si trova.

 

Quando osservare.

Educare ed insegnare significa anche osservare: osservare se stessi, come si educa, come si insegna e come si osserva.

L’osservazione deve essere continua, ma è utile solo se obiettiva, se sa valutare le variabili delle intenzioni e dei comportamenti e soprattutto se è finalizzata a conoscere il bambino nella sua globalità e non solo nei suoi lati negativi.

Acquisizione dello schema corporeo nel bambino non vedente

 

Fra gli schemi motori, il più complesso e il più ricco di potenzialità conoscitiva è senz’altro lo schema corporeo.

Si può affermare che lo schema corporeo rappresenta, anche per il non vedente, la confluenza logica di tutte le azioni del periodo senso-motorio ed è la competenza principale per tutte le operazioni future.

Non si può e non si deve insegnare lo schema corporeo come se fosse un oggetto di conoscenza astratto ed esterno al ragazzo non vedente.

Spesso, nel presentare lo schema corporeo, si utilizzano sussidi o il linguaggio come veicolo per l’informazione circa le varie parti che lo compongono o le sue diverse funzioni, mentre sappiamo che il ragazzo prima agisce, poi si forma un’immagine mentale e solo alla fine rappresenta mediante simboli.

La denominazione delle varie parti del corpo o la rappresentazione della figura umana costituiscono solo la possibilità di una verifica finale di una parte del lavoro, mentre la validità della sequenza è data appunto dal suo carattere attivo e dinamico.

Per questo un piano di lavoro deve potersi muovere ai diversi livelli e trovare tutti i possibili addentellati tra motricità, linguaggio e sviluppo logico.

Lo schema corporeo così come si è detto prima dello sviluppo psico-fisico, si sviluppa e si evolve lentamente; la sua formazione inizia nei primi mesi di vita e si protrae attraverso tre tappe fondamentali (Ajuriaguerra): del corpo vissuto, della discriminazione percettiva, del corpo rappresentato, sino agli undici, dodici anni.

Nell’evoluzione dello schema corporeo entrano in gioco non solo fattori di carattere sensorio-percettivo-rappresentativo, ma anche quelle di carattere emotivo-affettivo.

Lo schema corporeo o immagine del corpo, può essere considerato come un’intuizione d'insieme o una conoscenza immediata che si ha del proprio corpo, sia in posizione statica, sia in posizione dinamica, in rapporto alle diverse parti fra loro e soprattutto nei rapporti con lo spazio e gli oggetti che lo circondano.

Nei bambini non vedenti la strutturazione dello schema corporeo è più lenta e complessa poiché essi non hanno la possibilità di vedersi allo specchio, di osservare le varie parti del proprio corpo, la loro posizione, le proporzioni, di seguire i movimenti delle proprie mani e delle proprie gambe.

Nel vedente l’immagine visiva del corpo si forma naturalmente fin dai primi anni di vita; con una certa facilità riesce ad avere una precisa visione complessiva del corpo e a distinguerne poi le varie parti.

Per i non vedenti, invece, ciò è più difficile: gli "altri" sono soltanto voci e contatti frammentari, egli stesso non vede i movimenti che compie e per arrivare a un’immagine puramente mentale del suo corpo deve iniziare dal sentirsi e muoversi nello spazio.

La schematizzazione corporea si effettua inizialmente attraverso la denominazione e la localizzazione delle varie parti del corpo e, solo in un secondo tempo, queste conoscenze confluiranno in un’immagine universale.

Ancora una volta abbiamo un processo diverso da quello seguito dai bambini vedenti che hanno origine da un’immagine d’insieme per poi analizzarla e ritornare alla sintesi.

Il bambino non vedente salta il primo momento e inizia subito dal secondo, da quello analitico, perciò deve esse sollecitato a toccarsi, a esplorare, a scoprire il proprio corpo e quello degli altri, in primo luogo quello dei genitori.

E’ molto importante che la conoscenza del corpo sia una esperienza vissuta, che si realizza attraverso un’esplorazione tattile di tutto il corpo.

Questo problema esiste per tutti i bambini.

Molto spesso, infatti, nei disegni dei bambini vedenti, in cui sono rappresentati chiaramente viso e mani, il resto del corpo è imprecisato o approssimativo poiché, di fatto, per loro non esiste sotto i vestiti.

Ciò denuncia una conoscenza non vissuta perché è puramente visiva e non tattile.

Contemporaneamente all’esplorazione del proprio corpo possono essere sussidi utili per la schematizzazione corporea bambole e bambolotti, il più realistici possibili.

Il bambino che ha imparato a conoscere le parti del proprio corpo, potrà riconoscerle sul bambolotto e riprodurre sul modellino le varie posizioni che avrà sperimentato su di sé.

E’ utile far assumere al bambino quante più posizioni possibili, sia statiche che dinamiche, affinché possa fissarle e interiorizzarle per avere l’esatta percezione del proprio corpo in ogni momento.

Dal bambino cieco, infatti, il movimento deve essere sempre sentito e controllato come modificazione del sistema neuro-muscolare, cioè deve sentire che sta alzando il braccio senza controllarlo con la vista.

Quando avrà raggiunto la completa padronanza corporea, saprà riprodurre i movimenti che ha sperimentato perché, avendo imparato ad associare i movimenti allo schema corporeo, si sarà formato lo schema motorio, cioé la consapevolezza dei movimenti che deve fare per compiere certe azioni.

Forse è più corretto dire che per lui lo stesso schema corporeo è un concetto dinamico, un’idea di essere e muoversi nello spazio, che si forma all’idea stessa dello spazio ed è fondamentale per l’orientamento.

Essi devono veramente imparare a muoversi; i loro movimenti sono spesso impacciati, insicuri e rigidi perché il muoversi li espone a situazioni nuove e questo fa paura. E per imparare a muoversi è necessario aver chiari lo schema corporeo e motorio, cioé conoscere le caratteristiche strutturali e funzionali del proprio corpo.

Ma la conoscenza del proprio corpo e dell’uso che se ne può fare non costituisce ancora l’identità corporea che è accettazione della propria situazione fisica.

Questo aspetto è molto rilevante per il non vedente che in genere ha più "corporeità", vissuta, però, in senso negativo. Conoscere e saper usare il proprio corpo in tute le sue potenzialità è un obiettivo primario, poiché solo quando il bambino avrà una completa conoscenza e padronanza del proprio corpo potrà iniziare la vera e propria educazione motoria.

Bisogna però sottolineare che la successione dell’educazione corporea all’educazione motoria non deve essere limitata soltanto al caso dei bambini con deficit visivo, nei confronti dei quali è assolutamente evidente, ma di tutti i bambini, che molto spesso non conoscono il loro corpo.

Far precedere l’educazione corporea all’educazione motoria, non soltanto temporalmente ma come presupposto, significa anche intendere la seconda non più finalizzata alla formazione di piccoli atleti in una logica selettiva, bensì allo sviluppo armonico e globale di tutti gli individui, anche se portatori di handicaps.

L’educazione corporea, rivolgendosi al bambino, inteso come l’insieme di corpo e mente e non soltanto di sola mente o di solo corpo che alcuni insegnanti non ritengono avere il diritto di entrare in classe se non immobilizzato e seduto, riunisce quella testa a quel corpo che nella scuola tradizionale entrano staccati, come oggetti di interventi specifici ben differenziati (educativi per la prima e igienici e ginnici per la seconda) e recupera attraverso la corporeità il vissuto di ogni singolo bambino.

L’educazione corporea deve essere intesa come una nuova mentalità, un nuovo approccio, e non soltanto come una nuova tecnica.

Prerequisiti per una corretta educazione motoria

Come sappiamo, l’apprendimento, in quanto acquisizione di nozioni, dati, norme, ecc. e assunzione di modelli comportamentali, nel bambino privo della vista è correlato al possesso di tre prerequisiti che vanno dall’educazione della mano o della tattilità all’educazione al movimento ed all’orientamento spazio-temporale; elementi che, secondo un processo di gradualità, si evolvono pressoché contemporaneamente in ogni soggetto che non abbia altro problema se non quello della mancanza della vista.

Tuttavia, un corretto sviluppo psicomotorio, che nel bambino vedente si realizza attraverso le varie ed innumerevoli esperienze motorie e sensoriali, progredendo man mano che entra in contatto con il mondo circostante, nel non vedente viene a realizzarsi con una maggiore difficoltà e soltanto mediante un corretto intervento educativo, il quale dovrà mirare innanzitutto alla conoscenza delle parti del proprio corpo, all’utilizzo che si fa di esso, alla rappresentazione immaginativa del proprio corpo ed al riconoscimento dei vari segmenti corporei su altri soggetti, all’orientamento nello spazio.

Affinché quanto detto possa realizzarsi, occorrerà, prima di tutto, rilevare:

la condizione psico-fisica del bambino (il soggetto è totalmente cieco o presenta un residuo visivo);

quale sia il grado del visus residuo;

sono presenti effetti secondari della minorazione o ciechismi (movimenti stereotipati, dondolii, rotazione continua del capo, del busto, delle braccia e delle mani, rigidità degli arti inferiori nella deambulazione, capo chino);

il grado di autonomia nel mangiare, nel vestire, ecc.;

il mantenimento dell’equilibrio statico (in posizione eretta e stando su di un piede) e dinamica (salto, corsa, lancio di una palla, ecc.);

la capacità di coordinazione motoria generale e di coordinazione bimanuale (il soggetto è in grado di strappare, di arrotolare, di incartare, di allacciare, di sovrapporre, ecc.);

la lateralizzazione (distingue là destra dalla sinistra sul suo corpo e su quello degli altri, si orienta bene spostandosi ‘nello spazio);

il tono muscolare, che può presentarsi ipotonico o ipertonico, ovvero può essere un tono muscolare troppo debole o troppo rigido; per cui il soggetto incontra delle difficoltà nell’effettuare i più semplici movimenti, come nel reggere un peso tra le mani, nell’arrotolare un foglio di carta, nel plasmare della creta, nel piegarsi sulle ginocchia, nell’abbracciare e via dicendo; tali difficoltà potranno essere rimosse attraverso semplici, comuni esercizi di movimento coordinato, quali: braccia sollevate, braccia tese in avanti, incrociate, piegamenti sulle ginocchia, gambe incrociate in posizione seduta, rotazione del busto, sollevamento del corpo sulle braccia da posizione prona, manipolazione di materiali plastici per il rafforzamento delle dita e della loro capacità di prensilità.

A monte, dunque, di un adeguato sviluppo motorio, che si pone a fondamento dell’autonomia del cieco, vi è un’opera educativa assidua, accurata e dagli interventi precoci, una volta accertata la situazione psicofisica del bambino.

Una buona educazione motoria oltre a consentire al fanciullo privo della vista di immergersi nella realtà che lo circonda e di formarsi, conseguentemente, un bagaglio culturale, gli permetterà di evitare il grosso pericolo del nominalismo, ossia il rischio di giocare con le parole senza una chiara e precisa idea della realtà; nominalismo che comprometterebbe gravemente i suoi rapporti interpersonali.

L’educazione al movimento, tesa a far conseguire un’adeguata attitudine motoria generale, in questa comprendendo altresì il linguaggio mimico-gestuale ed il linguaggio grafico-figurativo, dovrà, pertanto, essere, nel contempo mirata anche alla scoperta guidata della realtà attraverso il tatto e gli altri sensi vicarianti, acciocché il bambino, come si è accennato, non cada in uno sterile nominalismo.

L’orientamento spaziale

Quando si parla di orientamento ci si riferisce alla capacità di riconoscere la propria posizione in rapporto all’ambiente, alla capacità di sapersi muovere al suo interno e di saper scegliere la giusta direzione per giungere ad una meta ben definita.

L’orientamento si presenta sotto due differenti aspetti: statico e dinamico.

Quello statico si realizza nella mente, senza spostamento del corpo; quello dinamico implica un’attività motoria che permette di raccogliere una serie di percezioni e di stimoli atti a definire la propria posizione in rapporto all’ambiente che viene ricostruito attraverso l’immaginazione.

Ma se orientarsi significa riprodurre nella propria mente un luogo, per potersi muovere all’interno di esso, occorre che il soggetto abbia chiara la percezione di se, del proprio corpo come di qualcosa che occupa uno spazio ma da questo si differenzia.

Perché possa realizzarsi un vero orientamento occorre che l’allievo conosca il proprio schema corporeo.

Mentre il vedente raggiunge questo obiettivo basandosi sull’imitazione, questa possibilità è preclusa al non vedente che, se non viene stimolato, finisce per non utilizzare quasi più il proprio corpo non conoscendone le possibilità.

Alla base dell’orientamento del bambino cieco nello spazio, orientamento che comunque va di pari passo con il conseguimento di abilità motorie, vi sono i seguenti prerequisiti:

conoscenza della corporeità o dell’io nello spazio;

educazione della mano;

conoscenza dei rapporti topologici, dei rapporti proiettivi ed euclidei;

capacità di localizzazione uditiva, olfattiva ed anemestesica;

capacità attentiva e di memoria.

 

Per quanto attiene alla corporeità o schema corporeo di essa si è già parlato, per la qual cosa non riteniamo opportuno ritornare sull’argomento, rimandando il lettore ai paragrafi precedenti.

L’educazione tattile o della mano, che possiamo ritenere essere per colui che non vede lo strumento principe, in quanto gli consente, così come la vista per chi vede, di avere un approccio diretto con la realtà, di poter accedere alla cultura, entrando in possesso del sistema segnografico Braille, si concretizza nell’educazione alla rotazione del polso, capacità questa che è spesso impedita nel non vedente, nella pressione palmare e digitale, nella educazione alla discriminazione tattile (sensibilità dei polpastrelli) delle forme, dei pesi, delle grandezze, nonché della diversità e dell’uguaglianza dei materiali che costituiscono gli oggetti (metallo, legno, plastica, ecc.), nella motricità fine, che consiste nell’educare i polpastrelli delle dita a toccare con leggerezza, nella capacità di manipolazione di oggetti.

Per lo sviluppo delle citate attitudini si potrà adoperate il materiale più vario, da quello strutturato (incastri per costruzioni, solidi geometrici Romagnoli, blocchi logici Vygotskij, coloredo, casellario Romagnoli) a quello occasionale; così come saranno utili i più disparati esercizi, lasciati alla fantasia dell’insegnante (arrotolare, strappare, sciogliere dei nodi, fare delle palline con del materiale plastico e schiacciarle tra il pollice e l’indice, dita che prevalentemente serviranno per la lettura).

Importante, tuttavia, è che l’insegnante guidi il piccolo non a toccare, a stringere passivamente gli oggetti, bensì a riconoscere, innanzitutto, la realtà per intero, partendo dalla sua forma e passando via via al riconoscimento delle diverse caratteristiche dell’oggetto medesimo; in quanto, come sappiamo, il processo cognitivo del non vedente procede, rispetto a quello di chi vede, all’inverso, ossia dall’analisi alla sintesi, similmente alla costruzione di un mosaico, che rende l’immagine con chiarezza soltanto una volta che sia stata disposta l’ultima tessera.

Altro prerequisito significativo è, ancora, la conoscenza dei rapporti topologici (vicino, lontano, sopra, sotto, dentro, fuori, davanti, dietro, destra, sinistra, in angolo), dei rapporti euclidei (verticalità, orizzontalità, lunghezza e distanza, larghezza, profondità) e di quelli proiettivi, i quali sono rapporti che mutano con il mutare delle posizioni.

Per quel che concerne gli ultimi due prerequisiti, l’attenzione e la memoria, essi vanno esercitati costantemente e con ogni mezzo, poiché a questi è demandato il compito di cogliere e di fissare le varie impressioni sensoriali.

L’orientamento vero e proprio è, comunque, sempre dinamico e consiste, per il cieco, nella capacità di rappresentarsi mentalmente percorsi e realtà e nel localizzarli.

Al conseguimento dell’orientamento dinamico il fanciullo giungerà attraverso l’esplorazione dell’ambiente, che si realizzerà ricorrendo a vari espedienti ed esercizi, come il percorrere toccando con le mani le pareti della stanza, seguire la voce dell’adulto che si sposta nella stanza, individuare da dove proviene questo o quel segnale acustico, facendolo spostare ed invitandolo successivamente a riportarsi nella primitiva posizione; tutto ciò con gradualità e, dapprima, in ambienti ristretti e familiari al piccolo.

Il casellario Romagnoli, il cuscinetto di gommapiuma, la creta, la plastilina o il più disparato materiale occasionale che possa prestarsi a quanto si intende richiedere al piccolo non vedente sarà utile per verificare, attraverso la riproduzione degli itinerari percorsi, la sua capacità immaginativa e la sua destrezza nel manipolare.

Tutti i sensi e le sensazioni vicarianti della vista saranno utili e di guida al cieco nel farlo orientare nello spazio.

Il tatto gli permetterà, infatti, di rendersi conto con una certa immediatezza e direttamente della realtà tastata; l’udito e l’olfatto di localizzare, rispettivamente, le sorgenti sonore e gli odori; il senso muscolare lo aiuterà a comprendere se cammina su di un prato, lungo un sentiero sassoso, sull’asfalto, se è in salita o in discesa, ecc.; il senso aptico, che consiste in impressioni che si ricevono su tutta la superficie corporea, gli fornirà la possibilità di capire se si trova in un ambiente chiuso o all’aperto, se si sta attraversando una galleria, ecc.; il senso anemestesico o dell’aria in movimento gli consentirà l’opportunità di rendersi conto della presenza di porte e finestre e, quindi, di localizzarle; il senso termico, infine, lo guiderà ad individuare le fonti di calore e, nel caso delle radiazioni solari, ad avere un approssimativo orientamento temporale.

E’ chiaro, tuttavia, che nessuno dei sensi e delle sensazioni vicarianti della vista opera isolatamente; essi, infatti, entrano in gioco contemporaneamente, quantunque possa esservi, a seconda delle circostanze, il prevalere di una o più di una sulle altre.

Tenendo presente che la minorazione visiva comunque comporta dei problemi nella percezione sensoriale, a causa di svariati fattori, siano essi interni che esterni (ansia, paura del vuoto e degli ostacoli, rumori, ecc.) e ovviamente delle difficoltà motorie e di orientamento, sarà estremamente significativo infondere al bambino sicurezza, fiducia negli altri ed in sé, agevolando in tal modo anche il suo processo di emancipazione dall’adulto; processo che si realizzerà tanto più velocemente, quanto più normale sarà il comportamento dei grandi ed in particolare misura, durante i primissimi anni di vita del piccolo, quello della madre.

Infatti, il bambino cieco vivrà le situazioni così come gli verranno comunicate dagli adulti, mediante il dialogo tonico e la voce. La sicurezza, l’interesse, l’ansia, il timore, ogni altro stato d’animo avvertito e vissuto dall’adulto verrà comunicato, trasmesso al fanciullo. Come è stato accertato, soprattutto nei primi anni di vita, un dialogo tonico disteso, una voce rassicurante agiscono significativamente sul soggetto che non vede ed hanno un notevole potere liberatorio dalla paura dello spazio e del vuoto.

 

La rappresentazione mentale

 

Il discorso sull’orientamento spaziale del minorato visivo propone necessariamente anche il tema della rappresentazione mentale, in senso generale e, in questa sede, dello spazio in particolare.

Nell’ambito della ricerca e degli studi tiflologici, numerose e discordanti sono state le teorie avanzate in merito dagli studiosi sulla natura, la dipendenza e lo strutturarsi di tale rappresentazione.

Per i nostri intenti sarà sufficiente dire soltanto che la rappresentazione mentale o immaginazione, che può definirsi la capacità da parte del soggetto di riprodurre a livello mentale le impressioni sensoriali provenienti dal mondo esterno, è dipendente non soltanto dai vari sensi e dalle varie sensazioni avvertite, dalla capacità d’astrazione, d’analisi e di sintesi, dall’essere in grado di stabilire dei rapporti di analogia e di diversità fra le cose, ma anche da una normale evoluzione e da una corretta educazione di tali elementi.

L’educazione dei sensi, e più specificamente del senso tattile, in grado di cogliere più analiticamente la realtà, una buona attitudine all’attenzione, l’autonomia nel movimento, essenziale presupposto della capacità esplorativa dell’ambiente e dell’arricchimento di esperienze e conoscenze da parte del soggetto, non saranno sufficienti a che il non vedente possa costituirsi delle immagini mentali chiare, il più possibile aderenti all’effettiva essenza delle cose e dello spazio.

In questo processo educativo, un ruolo significativo assumeranno gli esercizi intesi a sviluppare ed a potenziare i vari mondi sensoriali e la conoscenza diretta della realtà, affinché il bambino non abbia conoscenze di mero tipo nominalistico, cui verrebbero a corrispondere rappresentazioni mentali inesatte o addirittura irreali.

Attraverso plastici in rilievo, modellini o la riproduzione con materiale plasmabile ed il disegno sul cuscinetto, sul piano di gomma, ecc. realizzati dal bambino cieco si cercherà di avvicinarlo a quanto la mancanza della vista gli ha precluso di cogliere nella sua pienezza.

Parlare al piccolo non vedente, ad esempio, di catene montuose, di fiumi, di laghi e di altre realtà che non possono cadere sotto i suoi sensi, che difficilmente possono essere assoggettate ad un’esperienza diretta, farlo accostare ad esperienze acustiche (il rombo di un aereo, il ruggito di un Icone e così via), senza che egli abbia la possibilità di integrare tattilmente tale conoscenza, servirà a ben poco o addirittura a nulla per il suo processo cognitivo e la sua capacità rappresentativa.

In ultima analisi, si potrà affermare che un’adeguata rappresentazione sarà lo strumento più efficace per familiarizzare con l’ambiente in cui il cieco si dovrà muovere, ed il mezzo migliore per giungere a stabilire dei collegamenti, delle logiche deduzioni, dei rapporti di causalità, per riconoscere luoghi, persone, suoni, rumori, ecc. e, quindi, per regolare il proprio modo di agire.

Nella pratica didattica, per la formazione di corrette rappresentazioni dello spazio, gli. insegnanti dovranno attendere, ma non prima dell’ingresso dei bambino cieco nella scuola elementare e non prima di aver accertato il possesso di una certa autonomia nel movimento, a curare, in primis, l’acquisizione delle più semplici nozioni spaziali, ovvero della linea retta, della linea curva, della linea spezzata e della mista, servendosi di esercizi motori individuali o di gruppo (drammatizzare, ad esempio, la corsa di un treno o della sola locomotiva sui binari in linea retta, in curva, ecc., il galoppo di un cavallo, la corsa di una automobile e così via) e dei comuni sussidi didattici tiflologici, allo scopo di verificare l’avvenuta o meno assimilazione dei concetti.

Soltanto una volta che sia stata accertata l’acquisizione di queste conoscenze di base, l’educatore potrà passare, con la gradualità che richiede la complessità delle forme, alla conoscenza delle figure geometriche: il quadrato, il rettangolo, il triangolo, il cerchio, il parallelogramma, ecc.

Il bambino, divenuto padrone di questi semplici, ma tuttavia, importantissimi concetti, che richiederanno da parte sua un notevole sforzo di concentrazione e da parte dell’insegnante impegno e pazienza, avrà avviato il processo per lo sviluppo di chiare rappresentazioni spaziali.

 

La costruzione immaginaria dello spazio

 

 

 

Di primaria importanza, per il bambino non vedente, è la costruzione immaginativa dello spazio in cui egli dovrà muoversi e la formazione di questa capacità dovrà essere la principale preoccupazione didattica dei genitori e degli educatori, in particolare nel periodo della prima scolarizzazione, essendo detta capacità inderogabile elemento della autonomia motoria e della autonoma deambulazione, le quali, non di rado, nel piccolo cieco vengono ostacolate per il verificarsi di situazioni traumatiche, dovute a cadute, sbucciature, piccole ferite, o per situazioni ostiche dell’ambiente di vita (spazi angusti, inidonea disposizione degli arredi negli ambienti frequentati comunemente dal bambino, barriere architettoniche, ecc.).

La costante e progressiva costituzione di un quadro mentale dello spazio e le correlate immagini propriocettive ed esterocettive, sono connesse alla graduale maturazione del senso percettivo, ovvero dei sensi vicarianti residui il cui idoneo sfruttamento permetterà al soggetto di potersi ben orientare nell’ambiente circostante.

Un corretto orientamento spaziale per chi non vede è un fondamentale traguardo su cui poggiano la capacità di muoversi in maniera finalizzata, l’attitudine all’esplorazione dell’ambiente, la sperimentazione di sempre nuove realtà che saranno per il soggetto un arricchimento umano e culturale, contribuendo significativamente alla formazione della sua personalità di base.

Tutte le percezioni sensoriali, l’individuazione degli ostacoli e delle sorgenti sonore, olfattive e termiche, l’avvertimento delle oscillazioni dell’aria in movimento e degli sforzi muscolari, saranno importanti elementi per la costruzione di quadri spaziali immaginativi che l’insegnante dovrà favorire nell’allievo, attraverso situazioni stimolo dal vivo o con l’ausilio di sussidi (casellario Romagnoli, cuscinetto di gommapiuma, pezzi per costruzioni, mattoncini in legno, carte topografiche in rilievo per i percorsi effettuati o da effettuare da parte del bambino, cartine raffiguranti strade, piazze, monumenti). Particolarmente nella scuola per l’infanzia, ogni attività intesa a promuovere la costruzione mentale dello spazio dovrà essere organizzata sotto forma di gioco e gli educatori dovranno impegnarsi soprattutto nel fornire al bambino il maggior numero possibile di immagini guida, di inequivocabili e precisi punti di riferimento spaziali nell’approccio con le diverse realtà ambientali.

La chiarezza delle indicazioni, la precisione nel descrivere verbalmente i dettagli, la preventiva ricognizione tattile degli ambienti, dei luoghi, dei percorsi si porranno come fattori imprescindibili per lo sviluppo di chiare idee del mondo circostante.

Per i primi contatti con la realtà sarà sempre indiscutibilmente necessaria la ricognizione guidata e graduale di ambienti e luoghi familiari e quotidianamente praticati dal bambino (la propria stanza, il bagno, la cucina di casa, l’aula scolastica, il cortile della scuola, i corridoi, ecc.) di cui egli dovrà conoscerne la forma, le dimensioni, le diverse aperture (finestre, porte, balconi, ecc.) e la loro disposizione rispetto ad altri punti di riferimento. Ma ciò che occorre che l’insegnante abbia ben presente è il non doversi mai sostituire al fanciullo il quale dovrà impegnare, esperire ogni sua risorsa per risolvere ogni piccolo problema, per sormontare od evitare ogni piccola difficoltà, sempre, tuttavia, sotto il vigile e rassicurante sguardo dell’adulto.

Di seguito indichiamo, ora, alcune situazioni stimolo utili a costituire, nel fanciullo privo della vista, un quadro immaginativo dello spazio:

Considerato un punto di riferimento spaziale od una realtà ben evidenziata (un angolo, un pilastro, un interruttore di luce, una finestra, ecc.), si inviti il bambino cieco a percorrere la propria stanza o la propria aula lungo le mura perimetrali, scorrendo con la mano sulle pareti, al fine di rendersi conto della lunghezza dì questa, degli eventuali ostacoli costituiti dalla presenza di pilastri, delle deviazioni da compiersi. Ripetuta più volte tale esperienza, si potrà chiedere al piccolo di riprodurre una piantina della realtà osservata, con un disegno sul cuscinetto di gommapiuma, fissandovi il cordoncino con degli spilli, sul piano di gomma o modellando della creta o altro materiale plastico, o utilizzando pezzi da incastro. La più o meno esatta riproduzione di quanto sia stato osservato fornirà all’educatore elementi di valutazione utili a stabilire la correttezza del quadro immaginativo spaziale creato dal bambino.

 

L’educatore, accertatosi della corretta costruzione immaginativa spaziale della realtà, stanza od aula scolastica, da parte dell’allievo, inviterà questi ad una ricognizione di quanto nell’ambiente si trovi, partendo da precisi punti di riferimento, quali, ad esempio, una finestra, la porta, il termosifone, ecc., e procedendo, nell’esplorazione, con un certo ordine direzionale, affinché il soggetto non abbia ad incontrare difficoltà nell’orientarsi.

Opportuno sarà che le prime esplorazioni ambientali del fanciullo privo della vista avvengano in luoghi familiari ed ampi e nei quali sia stato evitato l’affastellarsi di arredi e di suppellettili che potrebbero creare al soggetto degli inconvenienti senso percettivi e nell’orientamento. Per la verifica della strutturazione di un corretto quadro immaginativo dello spazio, anche in questo caso, si procede come descritto in precedenza.

 

Fissate delle immagini guida, si chiederà al bambino di effettuare dei percorsi finalizzati al raggiungimento di una meta; ad esempio, l’aula adiacente alla propria, i servizi igienici, le scale d’ingresso dell’edificio scolastico, il cortile, ecc.

L’insegnante procederà, una volta che il piccolo abbia effettuato più volte tale esperienza motorio-orientativa, a verificare, anche attraverso delle schematizzazioni con il noto materiale tiflologico, se l’alunno è riuscito a formarsi un corretto quadro spaziale e se è in grado di ripetere autonomamente l’esperienza.

 

 

 

Situazione-stimolo per lo sviluppo motorio

 

Come abbiamo visto in precedenza, il movimento ha un ruolo molto importante nella formazione della personalità del bambino cieco.

Risulta, altresì, scontato che ogni successo del piccolo non vedente è condizionato, oltre che dalle sue capacità intellettive, dall’impegno, dalle conoscenze, dalla competenza e dall’impostazione didattica data dagli educatori alla loro azione.

Le obiettive difficoltà e carenze che la minorazione visiva infligge a chi ne è colpito, in campo motorio, propongono la indiscutibile necessità di una seria formazione professionale del personale docente e della presenza continuativa, nella scuola, di operatori con specifica preparazione nel settore della educazione psicomotoria; operatori che potrebbero affiancare, agendo di intesa con essi, gli insegnanti di educazione fisica.

Di seguito sono indicati delle situazioni stimolo, degli esercizi, utili a favorire una corretta motricità e lo sviluppo di una più efficace capacità rappresentativa dello spazio.

 

Area della lateralizzazione

 

 

Invitare il bambino a sollevare in avanti, prima, il braccio destro e, poi, il sinistro e, successivamente, viceversa.

Invitare il bambino a sollevare in avanti, prima, la gamba destra e, poi, la sinistra e in seguito viceversa.

Disporsi di fronte al bambino, invitandolo ad indicare quale sia la destra e quale la sinistra di chi lo osserva, e quale sia la sua destra e quale la sua sinistra (considerando l’età e lo sviluppo intellettivo del bambino, l’insegnante potrà affrontare il discorso sull’immagine speculare, che il bambino si troverà a sperimentare direttamente con più di un simbolo dell’alfabeto Braille.

Si disporranno degli oggetti sulla destra e sulla sinistra del bambino e lo si inviterà ad indicare quale oggetto sia sulla destra e quale sulla sinistra, rispetto a se stesso e, poi, rispetto a chi lo osserva.

Si chiederà al bambino di camminare in linea retta, segnalandogli la direzione con la voce o con un fischietto, invitandolo, poi, a svoltare sulla destra o sulla sinistra.

 

 

Area dell’equilibrio statico

 

Per equilibrio s’intende quel processo percettivo-motorio, mediante il quale il corpo assume una postura antigravitaria, la posizione eretta, cui non poco contribuiscono le percezioni sensoriali, da quelle visive, non considerabili per il cieco, a quelle uditive, olfattive, aptiche, muscolari, ecc., alla percezione della lateralità, della verticalità e della profondità.

Quando si parla di equilibramento, gli esercizi utili saranno quelli relativi al recupero, al potenziamento ed al mantenimento di un buon tono muscolare, all’equilibrio statico, al bilanciamento, al superamento della forza di gravità, importantissima per la deambulazione.

In pratica, gli esercizi da compiersi, per l’affinamento dell’equilibrio statico, di quello dinamico e di quello statico-dinamico, potrebbero essere: il camminare su di un asse d’equilibrio, il lanciare una palla, l’andare in bicicletta, lo schittinare, il correre, il saltare, ecc.; situazioni di stimolo queste, che si manifestano proficue anche per la coordinazione motoria generale, come le più disparate attività di manipolazione gioveranno a favorire la coordinazione bimanuale, tanto significativa per il cieco.

 

 

Le attività grafiche e figurative

 

 

Se gli esercizi motori, come il camminare, la corsa, il salto, il nuoto ed ogni altra attività che coinvolge tutto il corpo nel movimento servono a sviluppare l’equilibrio statico e dinamico e la capacità di coordinazione globale, le attività grafiche e di manipolazione ricoprono una rilevante funzione stimolatrice per l’affinamento della coordinazione bimanuale, della fine motricità e della pressione digito-palmare e per la funzione mentale di rappresentazione dello spazio.

Nell’uso della forma espressiva del disegno, i cui strumenti tiflologici saranno in graduale successione, per le loro peculiari caratteristiche e per le differenti capacità operative che richiedono, (il cuscinetto di gommapiuma su cui un cordoncino fissato con degli spilli darà l’immagine desiderata, il piano di gomma che consente di tracciare il disegno, il quale risulterà in rilievo punteggiato, con un’apposita matita o una biro scarica, e, in ultimo, la tavoletta Braille, la quale può determinare nell’esecuzione delle difficoltà a causa della sua struttura a scanalature) con il bambino cieco si dovrà cominciare con l’esecuzione di disegni molto semplici e schematici nei quali prevalgano linee rette piuttosto che linee curve, per la maggiore difficoltà che nel tracciarle presentano queste ultime.

Per l’esecuzione del disegno da parte del bambino vedente vengono generalmente consigliate delle fasi.

Una prima fase che consiste nel far completare e nel far colorare al bambino un disegno già tracciato.

Una seconda fase che consisterà nella copia di un disegno molto semplice.

Una terza fase che preveda la riproduzione di un oggetto modello, dal vivo.

Questi tre momenti possono essere seguiti anche per il bambino cieco; tuttavia bisognerà tenere presente che nel disegno di riproduzione dal vivo, il bambino incontrerà delle difficoltà nell’espressione della tridimensionalità, la quale non può essere descritta, come farebbe chi si avvale del senso visivo, con giochi prospettici di sfumature, di luci ed ombre, in maniera agevole.

La manipolazione, in quanto modellatura di forme che riproducono la realtà, adattando del materiale plastico, ha un ruolo molto importante per lo sviluppo della coordinazione del movimento delle braccia e delle mani, per il rafforzamento della capacità di pressione digitale e palmare, spesso compromessa nel bambino cieco, e per la motricità fine, quale sensibilità dei polpastrelli e leggerezza nel toccare.

A dare impulso a queste attività motorie, oltre ai menzionati sussidi (casellario Romagnoli, coloredo, abaco, costruzioni ad incastro, i diversi materiali plasmabili) saranno utili gli attrezzi ginnici, con i quali compiere esercizi di arrampicamento, di sospensione, di passaggio da una mano all’altra, ecc. (pertica, fune, quadro svedese, attrezzi leggeri da maneggio) e taluni insegnamenti come lo studio del pianoforte e la dattilografia con comuni macchine per scrivere, insegnamento, quest’ultimo, previsto nell’ambito delle attività pratiche speciali, disciplina contemplata dai programmi per la scuola media per ciechi (DM 9-2-1979).

 

 

Il movimento ritmico e la strutturazione temporale

 

Per il fanciullo minorato della vista il movimento ritmico può presentare dei problemi di realizzazione che, una volta raggiunta una buona educazione motoria generale, saranno automaticamente rimossi.

Molteplici i benefici di un’attività motoria ritmica, dal punto di vista psicologico, intellettivo e della stessa motricità.

Infatti, i movimenti verrebbero ad essere facilitati, potendo il sistema muscolare del soggetto alternare ad una fase di contrazione una di rilassamento; si produrrebbe un positivo effetto rilassamento a livello psichico; si riceverebbe un contributo nella strutturazione della nozione temporale, la quale è un’entità astratta, non legata ad una particolare impressione sensoriale.

Dallo strutturarsi di un corretto orientamento temporale discenderà una esatta nozione del tempo; ad esempio, la nozione del prima e del dopo, il significato di presto e di tardi; conoscenze che verranno acquisite contemporaneamente a quelle dei rapporti topologici, euclidei e proiettivi, relativi all’orientamento spaziale.

Ma cosa intendere per movimento ritmico? Designeremo con tale espressione ogni attività motoria che sia ben coordinata ed in cui i movimenti, da effettuare in maniera calibrata, si svolgano secondo una data cadenza.

Saranno movimenti ritmati, ad esempio, il pedalare, gli esercizi di flessione, torsione del busto, ecc.

Per quanto concerne la strutturazione temporale, numerosissime possono essere le situazioni-stimolo e gli esercizi da far compiere ai bambini, servendosi delle sole mani o utilizzando degli strumenti musicali (tamburelli, fischietti, nacchere ed altri) ed emettendo suoni o rumori ritmati, che seguiranno cadenzando i movimenti.

 

 

L’educazione posturale e del tono muscolare

 

Tra gli effetti secondari della minorazione visiva (i dondolii, le continue rotazioni del capo, del busto, delle braccia e delle mani, la rigidità delle mani e delle dita, l’incapacità a ruotare il polso, la rigidità degli arti inferiori nella deambulazione che determina un’andatura a saltelli, ecc.) i più frequenti sono i disturbi posturali del capo chino e del torace flesso in avanti; errati atteggiamenti che provocano nel soggetto, oltre a difficoltà nella deambulazione, l’insorgere dei paramorfismi (scoliosi, cifosi e lordosi), con una compromissione anche dell’aspetto della persona; aspetto che per il cieco, più che per il vedente, gioca un ruolo determinante nei rapporti interpersonali, nella sua accettabilità sociale.

La condizione essenziale per una corretta postura, che può essere definita come il giusto rapporto tra le diverse parti del corpo, per cui l’individuo può mantenere la posizione eretta del corpo e del capo, è un perfetto tono muscolare di base.

Gli stati di ipotonia e di ipertonia, dunque, compromettono il meccanismo posturale del soggetto, per cui il primo obiettivo degli insegnanti dovrà essere rivolto a curare l’aspetto muscolare del bambino, creando le più disparate situazioni di stimolo.

Correre, saltare, rotolarsi, arrampicarsi, afferrare, fare delle capriole, giocare al tiro della fune, compiere degli esercizi di flessione sulle gambe e dell’avambraccio sul braccio, compiere degli esercizi con le clavette e così via, saranno tutti esercizi utili al bambino per lo sviluppo del suo tono muscolare e gli consentiranno anche la possibilità di percepire il rapporto fra il suo corpo e lo spazio circostante, il rapporto tra le varie parti del corpo, la motilità e la funzione dei vari segmenti, gli faranno, ancora, percepire la nozione del peso del proprio corpo.

Per chi non vede, come leggiamo anche in Ragazzi ciechi di Augusto Romagnoli, una valida educazione del senso muscolare è di estrema importanza, in quanto, coadiuvato dagli altri sensi vicarianti, esso gli consente di meglio venire a contatto con il mondo esterno.

Schematicamente esaminiamo, ora, lo specifico valore delle principali situazioni dinamiche cui il bambino ricorre più frequentemente:

Camminare: è questa la situazione stimolo più frequente nel bambino e che richiede, per un suo corretto svolgimento, il raggiungimento di movimenti ben armonizzati tra loro e l’assunzione di normali schemi posturali.

Nelle prime fasi di deambulazione del bambino privo della vista, le quali, nella quasi generalità dei casi, compaiono con un certo ritardo rispetto alle medesime fasi del bambino che vede, a causa della mancanza di tutti quegli stimoli che la vista offre invece a colui che di questo senso può avvalersi e che lo invogliano al movimento, bisognerà che gli adulti che circondano il piccolo non vedente assumano nei confronti di questi degli atteggiamenti di totale naturalezza, avendo unicamente cura di rimuovere quanto potrebbe costituire un pericolo od un ostacolo per il bambino, ed abbandonino stati d’animo ansiosi, che, trasmessi al fanciullo, genererebbero in lui paura e disorientamento, con il risultato di rallentare il processo di evoluzione deambulatoria o, addirittura, dì bloccarla o di provocare una sua involuzione.

Il bambino cieco dovrà fare le sue esperienze, le sue prime esperienze motorie, in tutta serenità e senza grossolane, inopportune interferenze da parte degli adulti.

Le normali cadute, le piccole sbucciature alle ginocchia, i lievi urti contro pareti od oggetti non dovranno allarmare al di là di una giusta misura, poiché costituiranno per il bambino un monito a muoversi più cautamente, ad esperire degli accorgimenti che gli evitino spiacevoli conseguenze. La naturalezza del comportamento dei grandi, pertanto, la quale tuttavia non escluderà una certa accortezza e l’adozione di particolari accorgimenti (disposizione ottimale, nelle stanze, dell’arredamento, copertura degli spigoli delle pareti con salva angoli di gomma, copertura dei punti corrente, ecc.) sarà il sistema migliore perché il fanciullo cieco impari a muoversi autonomamente e senza timori, agevolando il suo processo cognitivo e di socializzazione.

Precoce dovrà essere il seguire anche il piccolo, segnatamente alla sua strutturazione posturale, affinché non vengano ad instaurarsi atteggiamenti viziati.

 

Correre. saltare e arrampicarsi: sono questi degli schemi motori abbastanza complessi, per chi non vede, in quanto presuppongono un buon affinamento della coordinazione dinamica generale e la piena acquisizione dei meccanismi posturali, nonché una buona dose di coraggio, che il timore di cadere o di sbattere attenua nel bambino cieco.

 

Queste attività dovranno seguire un rigido criterio di gradualità, dalla corsa libera, ma guidata nella direzione, mediante segnalazioni con la voce o con strumenti acustici, ai saltelli, al salto da uno sgabellino, prima con l’aiuto dell’insegnante e, poi, autonomamente, al salto di un ostacolo, prima con l’aiuto dell’adulto che terrà per mano il bambino e, successivamente, da soli, ai più complessi e comuni esercizi (salto in alto, arrampicamenti vari, salto a terra con caduta a gambe divaricate, ecc.) che richiederanno particolari accorgimenti per la sicurezza del soggetto (tappeti spessi, materassoni alti in gommapiuma per l’ammortizzamento delle cadute), ma, soprattutto, che l’educatore si adoperi, con la costante presenza, ad infondere coraggio al bambino. L’arrampicamento, che impegna tutta la muscolatura del corpo (arti superiori, tronco ed arti inferiori) e che può realizzarsi con l’uso di tronchi d’albero, muriccioli o con i comuni attrezzi da palestra (corde ben fissate alle pareti, pertiche, spalliere, quadro svedese) ha, tra l’altro, una notevole importanza per il rafforzamento della capacità di pressione digitopalmare del bambino cieco; capacità che, come altrove si è detto, non di rado risulta estremamente carente.

 

Sollevare, trasportare, spostarsi: con questi esercizi, significativi per la coordinazione motoria generale, l’equilibrio statico-dinamico e la prensione, il bambino farà propria anche la nozione di peso, di gravità e della direzione. Innumerevoli sono gli esercizi che il bambino potrà eseguire individualmente o in situazione dì gruppo, Sotto forma di gioco o di attività ginnica e terapeutico-riabilitativa, con l’ausilio di attrezzi specifici e di giocattoli, e ciascuna situazione di stimolo sarà volta al conseguimento di specifici obiettivi che, in ogni caso, concorreranno al completamente del processo di coordinazione motoria generale. Significativi presupposti, da non trascurare, inoltre, per una buona operatività motoria ed un migliore rendimento, sono l’educazione al controllo della respirazione e l’educazione al rilassamento, che regolano l’attività psico-emotiva dei soggetto, ossia l’emotività, nel non vedente indotta dal timore dell’ignoto, del vuoto, non potendo egli controllare direttamente la realtà, e la tensione neuromuscolare.

 

L’educazione gestuale come linguaggio extra-verbale

 

L’aspetto principale dell’esperienza corporea è quello della conoscenza del proprio corpo in relazione allo spazio circostante e l’acquisizione dell’immagine di sé, statica ed in movimento (percezione propriocettiva), che permetteranno all’individuo di sapersi ben relazionare con l’ambiente e con gli altri individui.

L’educazione motoria, vista anche come educazione mentale, ha per fine ultimo l’obiettivo di migliorare ed organizzare la dinamica psichica, traducibile nella formazione della personalità del soggetto e la motricità, intesa come capacità di comunicare con il corpo.

Valorizzare, dunque, il movimento mimico-gestuale, in quanto elemento di comunicazione, come linguaggio extra-verbale, dovrà essere fra i compiti cui gli educatori debbono attendere, quantunque non poche sono le difficoltà che si presentano al bambino che non vede nell’acquisizione di tutti quei movimenti espressivi mimico-gestuali che ricorrono nella quotidiana gestualità.

Il gesto, è un modello comportamentale legato alla funzione visiva ed acquisibile attraverso l’imitazione.

Nel bambino cieco, venendo meno la possibilità di imitazione, per l’acquisizione di queste condotte motorie, che richiedono l’impiego di una complessa coordinazione, saranno necessari interventi individualizzati, sempre che sia già in possesso delle condotte motorie di base, come il camminare, il correre, lo strisciare, il prendere, il lanciare, lo scivolare, ecc., prerequisiti motori verso i quali il soggetto privo della vista ha tendenzialmente un notevole blocco.

Il bambino non vedente incontra, dunque, notevoli difficoltà ad utilizzare il linguaggio del corpo; la mimica facciale sarà per lui un qualcosa pressoché inaccessibile, tuttavia, attraverso un accorto intervento educativo, non si renderà impossibile il raggiungimento di una buona gestualità in senso generale.

Con la mimica il bambino cieco potrà familiarizzare gradatamente, mediante l’organizzazione di giochi individuali o di gruppo, che stimoleranno il piccolo ad imitare gesti, azioni comuni, attività lavorative, utilizzando anche dei materiali di copertura, a mimare favole, avvenimenti storici o di attualità, ecc., a rappresentare comportamenti di animali, lettere alfabetiche o cifre numeriche.

 

 

Valutazione dello sviluppo psicomotorio del bambino cieco e analisi degli obiettivi didattici

 

Numerosi sono stati i test prodotti per stabilire i livelli di funzionalità psicomotoria del bambino non vedente.

A questi strumenti di rilievo non si possono negare una certa validità, tuttavia, bisogna dire che stabilire dei criteri generali sullo sviluppo e la funzionalità psicomotoria del fanciullo che non vede sia poco opportuno e rallenta il momento operativo degli interventi.

Una serie di fattori rendono, dunque, inopportuno fissare dei parametri standard; fattori che si possono numerare come segue:

 

le diverse condizioni psico-fisiche del soggetto;

i diversi tempi cronologico di sviluppo, che, spesso, variano notevolmente da bambino a bambino, in relazione all’ambiente nel quale viene a trovarsi;

il diverso grado di minorazione (cecità assoluta o ipovisione, con la vasta gamma che quest’ultima condizione presenta);

il momento cronologico di insorgenza dello stato minorante e la qualità delle situazioni stimolo cui è stato sottoposto il soggetto.

 

Tenere conto di tutti questi elementi, così diversi tra loro, non consentirebbe la formulazione di test con items capaci di evidenziare in maniera chiara particolari situazioni del soggetto osservato e di dare la possibilità di una serena valutazione.

Lo strumento più efficace di rilevazione rimane la pura e semplice osservazione sul campo, che, tra l’altro, è pienamente accessibile ad ogni insegnante.

Comunque il problema non è tanto quello di stabilire uno standard di prestazioni che il fanciullo è in grado o meno di fornire, bensì se egli è capace di sfruttare al massimo le sue capacità e se si verifica in lui un costante e graduale superamento delle difficoltà della minorazione visiva.

La capacità di fornire le più comuni prestazioni motorie, come il correre, il saltare, il giocare con il pallone, l’eseguire lavori manuali con una certa abilità e precisione, l’interagire con i coetanei, il provvedere alle più semplici mansioni, quale il vestirsi da solo, l’adoperare correttamente a tavola le posate e così via, saranno sufficienti a stabilire inequivocabilmente il suo livello di sviluppo, in relazione all’età cronologica.

In particolari situazioni di disagio, da parte del bambino, la messa a punto di un accorto piano d’interventi operativi e riabilitativi dì carattere generale si porrà come tentativo di soluzione dei problemi.

Per le sopra esposte considerazioni, la scelta degli interventi, delle modalità e dei tempi di esecuzione di questi, scaturiranno dal rilievo sia della progressione dei livelli di maturazione, sia del controllo dei movimenti del corpo e sia delle capacità del soggetto nell’esecuzione di esercizi e di lavori manuali, considerando l’elemento della gradualità, in rapporto al momento evolutivo del bambino.

Le voci di una scheda-tipo di rilievo dovranno, pertanto, prevedere prove di dinamica generale, di abilità manuali, di equilibramento statico-dinamico, di percezione sensoriale, di organizzazione tempo-spaziale, lasciando all’educatore la facoltà di giudizio su quanto il bambino è in grado di realizzare e su quanto potrebbe, in seguito ad accorte situazioni-stimolo, portare a compimento, senza stabilire peraltro, per i motivi prima espressi, alcun confronto con altri soggetti educandi, ma invogliando, bensì, l’allievo ad un maggior impegno operativo.

Analisi degli obiettivi didattici

Ogni volta che si parla di classificazione di obiettivi educativi si pecca, involontariamente magari, di rigidità.

Sembra che la teoria educativa perda di vista il bambino reale, forse perché è difficile isolare i comportamenti motori del bambino dato che il movimento in sé è parte integrante della vita.

Ogni gesto, ogni comportamento fa riferimento all’integrazione fra motricità e capacità senso-percettiva, intellettuale, sociale.

Quando una persona si muove coordina le aree cognitive, psicomotoria e affettiva.

Tutti gli insegnanti, gli educatori, mirano le proprie mete educative alla crescita e allo sviluppo dell’allievo nella sua complessità; essi non lavorano per materie, pertanto hanno tutti la necessità di finalizzare i propri interventi entro varie aree.

Da qui la necessità di poter comunicare e comprendere con esattezza le mete educative stabilite e poter agevolare lo scambio di informazioni riguardo le esperienze di apprendimento previste.

Nelle pagine che seguono si è cercato di suddividere quella che è una finalità globale a lunga scadenza e che spesso ricorre nei piani di lavoro, in settori educativi entro i quali ciascun insegnante possa trovare elementi di convergenza con gli altri colleghi che operano in classi o laboratori diversi.

 

 

Finalità

 

Soddisfare il bisogno del bambino di conoscere se stesso come indipendente e diverso dal mondo che lo circonda, di acquisire la sua identità per uno sviluppo psicologico equilibrato che concorra ad integrare la formazione della sua personalità.

 

Conoscere il proprio corpo e le sue possibilità

Avere una sufficiente autonomia personale

Riuscire a fissare e a mantenere l’attenzione fino a che non ha portato a termine un compito

Sviluppare la comprensione e l’espressione dei linguaggi sociali della realtà

Favorire l’organizzazione delle conoscenze per individuare le regolarità e le caratteristiche invarianti

 

 

 

CONOSCERE IL PROPRIO CORPO E LE SUE POSSIBILITÀ

 

 

Obiettivi a lungo termine

 

Prende coscienza di sé come persona: sa percepire il proprio corpo (conoscere e prendere coscienza delle caratteristiche fisiche del proprio corpo)

Sa controllare il proprio corpo (uso del corpo)

Sa mettere in relazione il proprio corpo con gli oggetti e con gli altri utilizzando le relazioni nel tempo e nello spazio.

 

Sottobiettivi

 

Localizza e denomina le parti del corpo

Esegue azioni motorie coordinate mostrando abilità

Ha coscienza dello spazio personale

 

 

AVERE UNA SUFFICIENTE AUTONOMIA PERSONALE

 

Obiettivi a lungo termine

 

Ha una buona coordinazione

Ha il controllo dei propri automatismi

Si organizza nei giochi e riordina le proprie cose

Si muove nello spazio mostrando padronanza motoria e coordinamento

Sa rispettare le regole di convivenza sociale

 

Sottobiettivi

 

Ha buona coordinazione globale

Ha il controllo della respirazione boccale e nasale

Svolge in modo autonomo un’attività in uno spazio stabilito

Individua nello spazio punti di riferimento per orientarsi

Sa vestirsi e svestirsi ed ha cura della propria persona

RIUSCIRE A FISSARE E A MANTENERE L’ATTENZIONE FINO A CHE NON HA PORTATO A TERMINE UN COMPITO

 

Obiettivi a lungo termine

 

Sa collaborare con gli altri nell’esecuzione di un compito

Sa utilizzare messaggi non dati direttamente

 

Sottobiettivi

 

Nelle attività accetta e rispetta le regole

Comunica le proprie necessità o desideri

 

SVILUPPARE LA COMPRENSIONE E L’ESPRESSIONE DEI LINGUAGGI SOCIALI DELLA REALTA’

 

Obiettivi a lungo termine

 

Comprende i significati del linguaggio, simboli e di comportamenti utilizzando più categorie sensoriali.

Riproduce, a livello grafico, un tema in modo ben identificabile e completo

Legge e usa simboli e convenzioni

 

Sottobiettivi

 

Sa comunicare mediante atteggiamenti, stati d’animo e sa comprendere un messaggio corporeo

Sa parlare e ascoltare

Sa rappresentare cerchi, tracciati orizzontali, verticali e obliqui (utilizzando la tavoletta di gomma)

 

FAVORIRE L’ORGANIZZAZIONE DELLE CONOSCENZE PER INDIVIDUARE LE REGOLARITA’ E LE CARATTERISTICHE INVARIANTI

 

Obiettivi a lungo termine

 

Riconosce le qualità formali e le proprietà d’uso o fisiche degli oggetti

Mette in relazione un fatto

Stabilisce relazioni spaziali

 

Sottobiettivi

 

Ordina in base ad una o più caratteristiche

Riconosce al tatto, oggetti di varia costituzione(legno, metallo, vetro, ….)

Capacità di percepire e verbalizzare successioni temporali ed in esse adatta le azioni

Sa collocare oggetti in relazione a concetti spaziali dati (dentro-fuori, sopra-sotto, vicino-lontano,…)

Esplora lo spazio in tutte le sue possibilità e in tutti i modi

 

 

La seguente programmazione, utile per il consolidamento e la formazione dello schema corporeo, è stata realizzata per gli alunni della scuola media inferiore ma può essere valida anche per il primo e secondo ciclo della scuola elementare.

 

Guidare l’allievo alla conoscenza del proprio corpo e alla possibilità di utilizzarlo per instaurare rapporti con gli altri e con l’ambiente.

Sapersi orientare nello spazio in cui si lavora. Per il non vedente è molto importante conoscere l’ambiente in cui deve operare. Inizialmente sarà guidato dall’insegnante o dai compagni nell’esplorazione del locale in cui si svolgono le attività.

E’ indispensabile che l’allievo esplori l’ambiente adottando posture diverse: in piedi, seduto, disteso, rotolando, strisciando, poiché i contatti con il suolo sono molto ricchi sul piano percettivo.

 

Ad esempio, nel gioco del serpente, gli allievi sono in fila e le loro mani poggiano l’uno sulle spalle dell’altro. Si invita il "serpente" a camminare lungo le pareti perimetrali della palestra.

Oppure si dispongono gli alunni in riga, con la schiena appoggiata alla parete. Al via devono spostarsi lateralmente premendo il corpo contro il muro.

In un altro gioco si possono invitare gli allievi, disposti in posizione supina, a spostarsi strisciando e premendo il corpo sul pavimento, a camminare carponi, o fingendo di nuotare.

 

Saper localizzare e denominare le parti del proprio corpo.

 

Toccare le varie parti del corpo dopo averle denominate, prima con la mano destra e poi con la sinistra; è importante che i non vedenti imparino ad usare indifferentemente ambedue le mani perché in tal modo saranno facilitati nell’esplorazione tattile degli oggetti.

Possono essere utili i seguenti esercizi:

 

Esercizio con la palla

 

far rotolare l’attrezzo sulle varie parti del corpo in posizione supina, prona, seduta.

Rotolare il busto, il dorso, le gambe sulla palla. Far rotolare l’attrezzo con la pianta del piede.

 

Esercizio con il foulard

 

Sfiorare le varie parti del corpo con il foulard e fare verbalizzare le sensazioni provate al contatto con l’uno o l’altro oggetto.

 

Saper localizzare e denominare le parti del corpo sugli altri.

 

Toccare gli altri è molto importante per il non vedente perché significa verificare la conoscenza dello schema corporeo.

Riconoscere sull’insegnante o su di un compagno le varie parti del corpo, denominarle e verbalizzare le sensazioni provate.

L’allievo che ha imparato a distinguere le varie parti del corpo, procederà poi a riconoscerle su di un manichino che, se snodabile, gli consentirà di riprodurre le varie posizioni già sperimentate su di se.

Un esercizio molto utile può essere quello di realizzare con del materiale "pongo" o la plastilina, una figura umana. La manipolazione di tale materiale, esercita la manualità e consente di rappresentare gli oggetti corrispondenti alle immagini mentali che il non vedente si è formato grazie all’esplorazione tattile e alle descrizioni fatte dagli altri.

Ottimi esercizi di espressione corporea sono quelli di mimica gestuale e facciale poiché attraverso la mimica e la gestualità l’allievo può comunicare con gli altri.

Il non vedente deve, quindi, conoscere i gesti più usuali di saluto e le espressioni di gioia, dolore, rabbia e potrà "leggerli" sul viso degli altri toccandolo ripetutamente con le sue mani.

Indicare le azioni compiute con il proprio corpo.

Il corpo è bello (invitare gli allievi a toccarlo) …e permette di fare tante cose: muoversi, camminare, saltare, sedersi, sdraiarsi, mangiare,…

Quindi fare delle domande, ad esempio per camminare quali parti del corpo uso?…e per modellare?…e poi far verbalizzare. E’ importante invitare gli allievi a denominare sempre le parti usate per compiere i vari movimenti.

 

Prendere conoscenza del proprio corpo in situazioni statiche e dinamiche.

 

E’ necessario far assumere, all’allievo non vedente, innumerevoli posizioni statiche e dinamiche affinché possa interiorizzarle ed avere l’esatta percezione del proprio corpo.

 

Ecco alcuni esercizi.

 

Situazione statica

L’insegnante o i compagni assumono svariate posture (carponi, gambe divaricate, gambe incrociate, braccia in avanti, in alto, ecc.….). L’allievo non vedente deve toccare l’insegnante o i compagni e riprodurre la stessa posizione nel modo più esatto.

 

Gli allievi, che rappresentano degli alberi, sono immobili, in piedi, con le braccia in alto. Arriva il vento che scuote le piante (gli allievi si dondolano a destra e sinistra); il vento aumenta (gli allievi eseguono flessioni più marcate), Per difendersi dal vento gli "alberi" si stringono l’uno contro l’altro (tutti insieme e ravvicinati i ragazzi flettono il busto a destra e a sinistra.

 

Seduti in cerchio alzano le mani e imitano il movimento delle fiamme. Il vento soffia, le fiamme si uniscono ( le mani dei ragazzi si toccano e formano un unico fuoco); l’incendio diventa pericoloso, arrivano i pompieri (la mano dell’insegnante, che rappresenta l’acqua, tocca le mani di un ragazzo per volta e le fiamme toccate si spengono e le braccia si abbassano.

 

Situazione dinamica

 

Si prende in considerazione la marcia e le sue caratteristiche: andatura lenta, media, rapida, a grandi passi, a piccoli passi, andatura silenziosa, rumorosa, a gambe tese, a gambe piegate.

 

Modificazioni del tipo di appoggio sul suolo: marcia sugli avampiedi, sui talloni, sulla parte esterna del piede, su quella interna. E’ possibile inserire giochi imitativi, nelle varie attività, perché il non vedente è in grado di imitare le posizioni e le andature di vari animali dopo che gli siano state adeguatamente spiegate.

Il gioco: Un gigante cammina nel bosco (gli allievi camminano in punta di piedi, le braccia in alto). Le formiche camminano dietro al gigante (altri allievi camminano a piccoli passi: punta del piede contro il tallone); i canguri seguono le formichine (altri procedono a balzi); gli elefanti seguono i canguri ( camminare a passi pesanti appoggiando bene il corpo prima su di un piede poi sull’altro); le farfalle seguono gli elefanti ( camminare a passi leggeri); per ultimi seguono i serpenti ( procedere strisciando per terra). Tutti vanno alla festa nel bosco: gli allievi ballano liberamente con sottofondo musicale.

 

Dopo che gli allievi hanno acquisito una buona sicurezza nella marcia, si possono eseguire tre andature diverse : camminare normalmente, sugli avampiedi, a gambe piegate, abbinandole tre suoni diversi con lo stesso ritmo.

Il ritmo può essere riprodotto con: battuta delle mani o tamburello battendo con il bastoncino sulla sua superfice o sulla sua intelaiatura.

Le esercitazioni devono essere brevi ed alternate ad esercizi di rilassamento.

Inoltre bisogna sempre far verbalizzare le sensazioni provate, occorre indicare chiaramente e con calma ciò che l’allievo deve fare, prendere in considerazione l’iniziativa personale, lavorare in gruppi per favorire la socializzazione, cogliere per tempo i primi segni di stanchezza.

 

 

Scheda d’osservazione sul comportamento motorio-percettivo-sensoriale e di organizzazione spaziale del bambino non vedente.

 

Il seguente modello di scheda per l’osservazione, potrebbe essere integrata dall’osservatore con altri items .

 

Prove di lateralità

Il soggetto riconosce la destra dalla sinistra su di sé e sugli altri:

si: no:

Il soggetto riconosce la destra dalla sinistra su altre persone, assumendo egli la posizione speculare:

si: no:

A richiesta, il bambino sa spostarsi, senza indugio, in una delle due direzioni:

si: no:

 

Prove sulla conoscenza dei rapporti topologici, euclidei e proiettivi

Il soggetto ha chiaro il concetto di vicino e di lontano, di sopra e sotto, di alto e basso, di avanti e dietro:

si no

Ha chiaro il concetto di verticalità e di orizzontalità:

si no

Il bambino sa disporsi in posizione supina ed in posizione prona:

si no

Ha chiara la differenza fra lunghezza e distanza:

si no

Assumendo una diversa posizione spaziale, sa orientarsi:

si no

Coordinazione dinamica delle mani.

Il soggetto è in grado di sovrapporre dei cubi, costruendo una torre: si no

Il soggetto è capace di allineare dei mattoncini di legno di uguale dimensione:

si no

E’ in grado, con delle asticelle di legno, di formare un quadrato, un rettangolo, un triangolo, ecc.:

si no

Utilizzando del materiale plastico, riesce a formare una pallina:

sì no

Il bambino è in grado di adoperare le forbici e di ritagliare da un foglio di carta una figura su di esso punteggiata:

si no

 

Prove di dinamica generale, di equilibramento e di corretta postura.

Il bambino è in grado di salire e di scendere le scale da solo:

si no

Riesce a saltare da un panchetto senza perdere l’equilibrio:

si no

Riesce a camminare sull’asse di equilibrio:

si no

Riesce a lanciare una palla, rimanendo in posizione d’equilibrio:

si no

E’ capace di saltare al di là di un’asticella di legno, a gambe unite, senza perdere l’equilibrio:

si no

E’ in grado di saltellare su di una sola gamba:

si no

E’ capace di saltare al di là di un’asticella di legno posta a 20-30 cm. dal suolo:

si no

Prendendo la rincorsa o meno, il bambino è capace di saltare su di un tappeto od una pedana, arrestandosi nel punto di caduta, non perdendo l’equilibrio:

si no

Il bambino è in grado di mantenersi in equilibrio su di una sola gamba, tenendo le braccia lungo i fianchi:

si no

Il soggetto è in grado di mantenersi in equilibrio sulle punte dei piedi:

si no

 

Prove di abilità manuali

 

Il soggetto è capace di arrotolare una pallina di carta, prima con la mano destra e poi con la sinistra:

si no

E’ in grado di adoperare le forbici in maniera corretta per tagliare o eseguire dei ritagli di figure punteggiate:

si no

E’ in grado di adoperare il martello, le pinze, il cacciavite ed altri utensili per eseguire dei lavoretti:

si no

Sa dosare la colla, i colori ad acqua, nel corso di particolari lavori, senza imbrattare più del necessario:

si no

Oltre quelle indicate, infinite possono essere le prove di abilità manuale da poter far eseguire al bambino non vedente. Inoltre, si ricorda che la rapidità d’esecuzione è un fattore significativo dell’abilità manuale del soggetto.

 

Prove di organizzazione percettivo-spaziale

Il bambino utilizzando delle asticelle di legno di diversa lunghezza, sa stabilire quale sia la più lunga o la più corta e quali quelle di uguale dimensione:

si no

Avvalendosi di una cassettina con vani di forma diversa e dei pezzi corrispondenti ai vani medesimi, il bambino è in grado di disporre pezzi nei propri spazi:

si no

bambino, dopo aver osservato una tavoletta in compensato di forma quadrata, sa ricostruire la figura prima osservata, servendosi dei due triangoli in cui può essere divisa la forma geometrica stessa:

si no

 

Prove di gestualità e di mimica

 

Innumerevoli sono i gesti e le azioni la cui effettuazione può essere proposta al bambino cieco, preferibilmente in un contesto ludico; ad esempio, mimare i gesti del rematore, del fabbro, del falegname, del vigile urbano, del direttore d’orchestra, ecc.

 

Prove di percezione sensoriale e di orientamento

 

Il soggetto riconosce i diversi suoni e ne individua la direzione di provenienza:

si no

Il soggetto riconosce gli odori e ne localizza la direzione di provenienza:

si no

Il soggetto individua la direzione di provenienza di spifferi e correnti d’aria:

si no

Il soggetto localizza la posizione di piccole fonti di calore (un cerino, una sigaretta accesa ed accostata alla mano)

si no

PARTE TERZA

 

Ipotesi d’intervento educativo

 

Il gioco e la minorazione visiva

 

Nel corso dello sviluppo del bambino, la manifestazione di maggior risalto è, senza dubbio, il gioco, attraverso il quale tende a soddisfare il naturale bisogno di movimento, d’azione, appagando la sua curiosità, il suo desiderio di conoscenza e di affermazione di sé.

Il gioco ha, dunque, un’importante significato psico-fisico e sociale; è un’efficace mezzo di apprendimento che coinvolge la persona nella sua interezza ed un valido strumento terapeutico-riabiltativo, nel caso di soggetti con handicap, poiché agevola lo sviluppo della relazione soggetto-ambiente.

Il gioco ha per il bambino che non vede una triplice funzione: liberatoria, di compensazione e di rimozione.

Nella prima funzione lo aiuta a superare la paura dello spazio e degli ostacoli; nella seconda funzione fa sì che i suoi sensi residui, ben allenati, sopperiranno alla privazione della vista; e infine, come terza funzione avrà il compito di ridurre gli effetti secondari della cecità.

Questa attività, libera espressione di tutte le energie del bambino, è essenziale per la sua normalizzazione.

Attraverso il corpo egli stabilisce i suoi contatti con il mondo che lo circonda, acquisisce e affina quelle abilità che possono essere state inibite dalla minorazione; la socialità ed il consolidamento motorio sono tutti elementi che passano attraverso l’attività ludica.

Occorre tuttavia sottolineare che durante il processo educativo, è necessaria, da parte degli educatori, una scelta ponderata dei giochi che meglio si adattano alle situazioni soggettive del non vedente, facilitando sempre, l’inserimento di questi nel gruppo dei coetanei, soprattutto vedenti, evitandogli gravi fallimenti e delusioni che potrebbero incidere negativamente sui suoi comportamenti socio-culturali ed affettivi.

Operando una classificazione dei vari tipi di gioco, li possiamo distinguere in relazione alla loro natura e alla loro funzione:

 

Giochi senso-motori o sensoriali: utili ad affinare la sensibilità dei diversi mondi sensoriali residui; ricordiamo, ad esempio, i giochi di manipolazione con il più disparato materiale, adatto a promuovere l’educazione tattile della mano e la coordinazione bimanuale, quello per il riconoscimento delle voci, dei suoni, dei rumori, dei sapori e degli odori; per esercitare l’udito, l’olfatto ed il gusto, che ricoprono anch’essi un ruolo importante per l’orientamento del non vedente.

Giochi regolati dal ritmo: importanti, questi, per la coordinazione motoria generale, la conoscenza dello schema corporeo e la strutturazione posturale; strumenti musicali, quali tamburelli, fischietti, tamburi, ecc., filastrocche, canzoncine, battere ritmato delle mani, accompagneranno rappresentazioni motorie tra le più svariate.

Giochi spontanei di movimento: nei quali rientrano la corsa, il gioco con il pallone, il salto con la fune, l’andare sui pattini, ecc.

Giochi di fantasia, animismo e drammatizzazione: questi giochi sono legati alla maturazione psicologica, alla fantasia ed al vissuto del fanciullo; nei giochi animistici il bambino darà vita ad oggetti di suo interesse; ad esempio una scopa potrà diventare il suo cavallo, una scatola di cartone una macchina e così via, negli altri riprodurrà un’esperienza sociale impersonando il ruolo (drammatizzazione) di un poliziotto o di un medico, ecc.

Giochi di rappresentazione, con i quali il bambino non vedente, servendosi del più vario materiale, da quello, occasionale a quello strutturato, tenterà di riprodurre la realtà, consentendo, in tal modo, all’insegnante di verificare le sue capacità immaginative.

 

Attività ludica e sviluppo dei sensi sostitutivi

 

Il termine apprendimento non sta ad indicare soltanto un modo per acquisire nozioni, di conoscenze, di norme, ma anche la capacità del soggetto di adattarsi all’ambiente che lo circonda, ovvero alle varie situazioni che esso viene a proporre.

La capacità di apprendimento è, pertanto, alla base della normalizzazione del minorato visivo; ma non può esserci alcuna normalizzazione senza un adeguato sviluppo, senza una corretta educazione dei sensi sostitutivi la vista.

Oltre allo sviluppo del senso tattile, del senso dell’udito, dell’olfatto e del gusto, esistono anche delle sensazioni che sono in grado di sostituire il senso della vista:

 

la sensazione aptica o istintiva

la sensazione muscolare

la sensazione termica

la sensazione anemestesica

 

L’attenzione, intesa come capacità di cogliere e fissare le diverse impressioni sensoriali, funge poi, da elemento coordinatore dei differenti stimoli provenienti dall’esterno, che, incamerati dall’intelletto, diventeranno conoscenze.

Tutti questi modelli sensoriali entrano in gioco contemporaneamente, anche se alcuni prevalgono sugli altri, a seconda delle circostanze.

Il tatto è il senso sostitutivo che maggiormente entra in gioco e sul quale s’imposta l’importantissimo discorso dell’educazione della mano.

Anche l’udito ricopre un importantissimo ruolo; esso, infatti, aiuta il non vedente ad orientarsi nello spazio, ad individuare ostacoli, soprattutto quelli in movimento.

L’olfatto, intervenendo nell’orientamento, lo favorisce.

Il senso del gusto è determinante ma va sviluppato, poiché in concorso con gli altri sensi contribuisce ad una più chiara e precisa conoscenza della realtà.

Le sensazioni aptiche, sono impressioni sensoriali che avverte l’intero corpo e per le quali il non vedente è posto in grado di acquisire una più ampia conoscenza del mondo circostante. Sarà, infatti, il senso aptico, oltre a quello uditivo, termico e anemestesico, ad indicare al non vedente di trovarsi in una stanza, all’aperto o di essere in prossimità di un ostacolo.

La percezione delle forme attraverso l’udito, quindi, come rileva il Romagnoli, non è unicamente un fatto uditivo ma anche aptico.

Ma affinché l’esplorazione aptica abbia significato per il non vedente, è necessario che essa si verifichi nell’ambito di una soddisfacente attività motoria.

E’ necessario perciò esaminare la funzione che essa ha nella formazione delle immagini mentali.

In seguito al processo di astrazione, che conclude e organizza l’intera esperienza tattile, si vengono a formare le immagini e le operazioni immaginative, ovvero una corretta attività immaginativa.

Essa, perciò, presuppone una completa esplorazione ambientale in cui non è importante solo l’osservazione aptica delle singole componenti, ma anche una cosciente strutturazione ambientale in senso spaziale e quindi cinestetico.

Favorendo, quindi, con ogni mezzo, lo sviluppo dell’attività motoria che è prioritaria e complementare rispetto a qualsiasi altra attività evolutiva, si porranno le basi per la coordinazione e la strutturazione dei vari elementi dell’esperienza, trasformandoli in immagini.

Si può notare, a volte, nel non vedente, un ritardo nello sviluppo dell’attività motoria e questo, accentuandosi con il passare degli anni, investe altri settori molto importanti, come il funzionamento dell’attenzione, il controllo degli impulsi e lo sviluppo dell’immaginazione.

Anche nella formazione della personalità il fanciullo cieco risente delle deficienze derivate da un insufficiente sviluppo motorio se non si supplisce con l’educazione a questa mancanza.

Tra le cause principali di questa situazione assumono un particolare rilievo la mancanza o la scarsità di stimoli sufficienti a determinare una reazione nell’organismo ed un adattamento neuro-muscolare di questo all’ambiente; la mancanza di un’attività immaginativa che provochi in lui una stimolazione ad interagire con una realtà ambientale; una notevole diminuzione di interesse per la realtà che lo circonda ed il progressivo ripiegarsi dall’esterno verso l’interno.

Di conseguenza il bambino si trova a vivere in uno stato di inerzia da cui l’azione dell’educatore deve liberarlo, suscitando in lui l’amore per il moto e per l’osservazione.

Assieme alla formazione intellettuale occorre tenere nella massima considerazione lo sviluppo dell’affettività, il controllo delle emozioni, il raggiungimento dell’equilibrio interiore.

La cecità, spesso, sviluppa atteggiamenti esasperati sia nel senso dell’attività sia in quello dell’inattività in chi non è stato aiutato ad essere padrone di essi all’interno del proprio io.

Per questo il non vedente deve essere educato a raggiungere un sostanziale equilibrio tra le spinte depressive derivanti dalla coscienza della propria minorazione e quelle che inducono ad un attivismo esagerato non richiesto neppure ai fanciulli "normali".

Certamente individuare il giusto mezzo non è un’impresa facile, ma molti non vedenti, preoccupati di non apparire "inferiori" agli altri se solo riflettessero sul fatto che molti individui, privi di qualsiasi minorazione non sono le persone equilibrate che pensano di essere.

Per quanto riguarda la sensazione termica, essa interviene a dare impressioni di caldo e di freddo, a consentire il riconoscimento del calore solare, permettendo, in questo caso la percezione temporale (distinzione del giorno e della notte). Le sensazioni muscolari, che si avvertono in seguito alla contrazione dei muscoli, contribuiscono, assieme al tatto e al senso aptico, al riconoscimento delle forme.

In ultimo, le impressioni sensoriali anemestesiche, sensazioni date dagli spostamenti dell’aria, contribuiscono alla percezione degli ostacoli e alla individuazione di elementi che possono tornare utili all’orientamento nello spazio.

Quindi tutti i sensi e le sensazioni che sono in grado di sostituire la vista devono essere sviluppati e l’attività ludica si presta nella maniera più completa allo scopo.

I giochi sensomotori, che si prestano al raggiungimento di questo scopo, sono infiniti e l’insegnante può scegliere tra questi quelli che più risvegliano l’interesse e l’attenzione degli allievi.

Per l’educazione al tatto si può raccogliere il materiale più disparato (bottoni, pezzi di stoffa, carta di diverso spessore, sassolini di diversa dimensione, bottigliette, carta vetrata di diversa granatura, ecc…) invitando l’allievo a riconoscerli e classificarli scegliendo degli opportuni criteri; un’altro gioco interessante può essere quello della "mosca cieca", invitando gli allievi, a turno, a riconoscere al tatto invitandoli a descriverne le caratteristiche.

Oppure potranno provare a riconoscere le caratteristiche di oggetti buttati alla rinfusa in una cesta.

Per stimolare la sensibilità uditiva, si potranno riprodurre suoni e rumori di differente intensità, invitando l’allievo a selezionarli e riconoscerne l’origine.

Questi esercizi-gioco saranno utili anche per lo sviluppo della memoria uditiva del soggetto.

Per l’educazione del senso olfattivo, si potranno organizzare giochi per il riconoscimento e la descrizione di sostanze aromatiche e in generale di prodotti d’uso comune.

Lo stesso discorso può essere valido per il senso del gusto; in questo caso l’allievo sarà invitato ad assaggiare i prodotti da riconoscere.

Per le sensazioni aptiche, termiche, anemestesiche e muscolari, sarà necessario che l’insegnante richiami l’attenzione dell’allievo, affinché prenda coscienza di particolari stimolazioni come l’individuazione delle sorgenti di calore, degli spostamenti d’aria utili per approfondire la conoscenza dei luoghi in relazione ai differenti sforzi muscolari effettuati nella deambulazione in presenza di un tappeto erboso del giardino, dell’asfalto della strada o del tappeto in gomma della palestra

 

 

Il gioco come fondamentale fattore di socializzazione

 

 

L’integrazione del soggetto non vedente intesa come partecipazione produttiva alle attività dei vedenti, passa attraverso l’acquisizione di uno stabile equilibrio psicologico-emotivo, di stabilità morale e di capacità operative e di cooperazione, che condurranno il soggetto a porsi nella condizione di essere accettato dagli altri anche con il limite impostogli dalla cecità.

Questo è quanto la società chiede a tutti, indistintamente, se si vuole vivere da pari con gli altri, se si vuole essere considerati un ingranaggio della macchina sociale e contribuire al suo buon funzionamento secondo le proprie possibilità e le proprie capacità.

Il principio della socializzazione, deve essere il baluardo dell’educazione del non vedente e in questa prospettiva entra e svolge un ruolo insostituibile il gioco.

E’ proprio in quest’attività, infatti, che il soggetto non vedente acquista piena coscienza di sé, degli altri, la consapevolezza dei suoi limiti ma anche delle proprie potenzialità, dei propri diritti e doveri.

E’ attraverso il gioco che scoprirà d’essere diverso dagli altri compagni imparando così ad organizzarsi per superare gli ostacoli impostigli dalla minorazione e al tempo stesso, attenuare le disparità che esistono fra lui e gli altri.

Questo principio va tuttavia collegato al tema della coeducazione con i vedenti in quanto se è vero che nel gruppo di bambini con le sue stesse difficoltà, il bambino non vedente imparerà a non avere paura di fallire senza suscitare sentimenti di commiserazione che in un modo o nell’altro potrebbero ferirlo, è altrettanto vero che in un grippo di soggetti vedenti egli acquisirà più velocemente tutti quei modelli comportamentali che gli consentiranno di poter accedere nel mondo di tutti.

Di questo parere era anche Augusto Romagnoli, il quale invitava gli adulti a circondare il ragazzo cieco di amici vedenti dai quali assumere gli elementi più significativi della socialità.

Il non vedente, nel gioco di gruppo con vedenti, deve adattarsi ai modi di agire, di pensare, di sentire dei compagni. Gli adulti, nei loro interventi educativi, non dovranno soltanto evitare al ragazzo non vedente gravi fallimenti e delusioni che potrebbero fargli assumere atteggiamenti di rinuncia o scarsa socialità, ma condurlo gradatamente a comprendere che un fallimento esprime soltanto i limiti temporanei di una prestazione che in un secondo tempo dovrà essere migliorata.

E’ nel gioco, come sostiene ancora Romagnoli, con i coetanei vedenti che risiedono e si realizzano i capisaldi della socialità del non vedente: un buon carattere, la serenità, infatti, sono un ottimo lasciapassare per l’ingresso nel mondo.

Tutte le esperienze di gruppo devono porsi come obiettivo, oltre quello di favorire un buon comportamento socio-emotivo del non vedente, di formare e sviluppare la capacità di strutturare piani d’azione e di realizzarli operativamente; ma la realizzazione di questi piani è condizionata da una corretta educazione motoria che abbia sviluppato delle buone attitudini all’intervento pratico.

I giochi descritti di seguito, dei quali vengono indicati il loro valore motorio, possono essere eseguiti facilmente dai non vedenti.

 

La staffetta: questo gioco deve essere eseguito da due squadre ciascuna composta da cinque o sei giocatori. Come testimone può essere usato un pallone sonoro.

Il primo della fila, piegandosi in avanti, passa la palla al compagno che lo segue e così via.

Quando il pallone sarà giunto all’ultimo dei giocatori, questi correrà in avanti, riprendendo il gioco.

Questo gioco mette in evidenza la coordinazione motoria bimanuale , la capacità di orientamento spaziale e la velocità nell’eseguire i movimenti.

 

Il tiro della fune: questo gioco, basato sulla forza e sull’equilibrio dei partecipanti, è un utile esercizio per rafforzare il tono muscolare, la capacità di prensione digitale e palmare e per il mantenimento dell’equilibrio.

 

Esercizi per tenere la testa eretta: i non vedenti tendono a tenerla abbassata, perché la posizione eretta è funzionale alla vista e quindi per loro non è motivata; tuttavia, questa abitudine, può provocare degli scompensi nelle curve fisiologiche del collo.

 

Esercizi di equilibrio: i non vedenti devono avere un buon equilibrio perché possono trovarsi all’improvviso in situazioni precarie, ad esempio scendendo le scale, su un terreno accidentato, ecc.

 

Il gioco della corsa: questo gioco, ha come finalità di far conseguire al non vedente l’orientamento spazio-temporale, di sviluppare la sua attenzione e la sua prontezza nell’arresto. Chi non vede, per ragioni di sicurezza, tende a una prudenza eccessiva, a movimenti lenti, mentre per affrontare situazioni impreviste occorre una buona dose di agilità e prontezza. Nel camminare e correre è opportuno che il bambino abbandoni la mano dell’educatore e proceda affiancato ad esso, prima appoggiandogli una mano sull’avambraccio o a contatto di gomito, poi seguendo la voce, infine da solo seguendo l’eco dei suoi passi.

Comunque non dovrà mai correre tirato dagli altri o ponendo le mani sulle spalle del bambino che sta davanti a lui perché nel primo caso si adeguerebbe all’andatura dell’accompagnatore senza prendere iniziative, e nel secondo caso, oltre a questo, svilupperebbe un’andatura innaturale sulla punta dei piedi e con la schiena un po’ curva mancandogli lo spazio per muovere le gambe.

Inoltre la corsa può essere sfruttata molto utilmente per sviluppare l’orientamento spazio-temporale se viene fatta fare su un percorso fisso e conosciuto, dapprima con andatura regolare, dando il ritmo, e successivamente ripetuta sullo stesso percorso, accelerando o rallentando.

 

Toccarsi le varie parti del corpo: …dopo averle nominate, sia con la mano destra sia con la mano sinistra. Per in bambini non vedenti è molto importante far usare la mano sinistra come la destra perché acquisti destrezza e precisione e possa essere usata allo stesso modo, indifferentemente e contemporaneamente, per l’esplorazione degli oggetti. Inoltre una laterizzazione ben affermata evita parecchie difficoltà nell’apprendimento della scrittura e della lettura con il sistema braille.

 

Toccare e riconoscere gli altri: mentre il toccarsi è un’esperienza vissuta, nel senso che toccandosi con una mano il ginocchio l’individuo sente di essere toccato, toccare gli altri

Significa verificare indirettamente la conoscenza dello schema corporeo.

 

Esercizi di respirazione controllata: gli esercizi vanno eseguiti controllando e facendo controllare le varie fasi di inspirazione ed espirazione, appoggiando una mano sull’addome e sulla schiena per meglio sentire i movimenti del corpo.

 

Presa di coscienza segmentaria del proprio corpo:…mediante esercizi di rilassamento eseguiti sul tappeto. Sono esercizi un po’ più difficili per bambini piccoli perché richiedono capacità di concentrarsi in sé stessi isolandosi dall’ambiente. Per favorire la concentrazione ed il rilassamento è utile un sottofondo musicale.

 

Presa di coscienza delle possibilità di movimento delle singole parti: consiste nel far compiere rotazioni, flessioni, ecc., dei polsi, delle spalle, del busto, per rendersi conto delle specificità o molteplicità di movimento di ogni articolazione.

 

Presa di coscienza del tono muscolare: far osservare, dopo gli esercizi o i giochi, le sensazioni muscolari di tensione, rilassamento, affaticamento.

 

Presa di coscienza dell’equilibrio corporeo: partendo dalla posizione eretta, far spostare il peso del corpo, alternativamente sulle due gambe e contrarre i muscoli addominali, che costringono a tenere eretta la colonna vertebrale, per rendersi conto dei meccanismi che entrano in gioco.

 

Coordinamento e dinamica generale: per far compiere contemporaneamente movimenti di singole parti, come ad esempio, alzare un braccio e flettere la gamba opposta.

 

Presa di coscienza posturale: far assumere diverse posizioni, prima impostandole controllando il tono muscolare, poi farle ripetere.

 

Gioco di imitazione e mimica: il bambino non vedente non può, lovviamente, fare il gioco dello specchio, ma può imitare, ad esempio, le posizioni e l’andatura di vari animali, dopo che gli siano state adeguatamente spiegate. Non c’è alcun problema per gli esercizi mimici, cioè fingere di compiere varie azioni (camminare sulla sabbia bollente, salire le scale, camminare con un gran peso sulle spalle e poi deporlo, ecc.).

 

Esercizi di composizione plastica: consiste nel fare delle composizioni, le belle statuine, con il proprio corpo o con i corpi dei compagni.

 

Momenti di gioco e lotta: sono momenti liberatori che favoriscono il toccarsi e servono al bambino per misurare le proprie forze e la propria resistenza, che deve comunque sempre imparare a valutare per controllarsi e non eccedere in violenza.

Tutti questi esercizi si completano con la rappresentazione grafica attraverso la quale si può verificare il grado di conoscenza raggiunto.

Per i bambini non vedenti, questa verifica può essere fatta modellando la creta che può essere usata anche come base per fare le impronte delle mani e dei piedi.

Ottimi esercizi di espressione corporea sono anche gli esercizi di mimica gestuale, facciale e di vocalità.

Chiaramente chi è privo della vista non può ricevere i messaggi che si comunicano attraverso la mimica e la gestualità perché non può leggere i gesti e le espressioni degli altri, ma può usare questo linguaggio per comunicare con gli altri.

Il bambino deve, quindi, conoscere i gesti più comuni di saluto, di affermazione, negazione,ecc., ed anche i movimenti del viso che esprimono gioia, rabbia, perplessità, che può e deve imparare a conoscere toccando il viso degli altri.

Per gli esercizi di vocalità non vi sono differenze fra vedenti e non vedenti.

Questi esercizi utili per saper sfruttare tutta la gamma di toni e timbri, sono importanti per chi non può vedere le espressioni dei visi.

Gli esercizi di vocalità comprendono:

 

vocalizzi: per prendere coscienza delle proprie capacità vocali e scoprire e sperimentare nuovi suoni;

imitazione di suoni e rumori;

ripetizione di parole e frasi variando tono e volume;

esercizi di articolazione della parola, anche per correggere errori di pronuncia;

esercizi di espressività, pronunciando frasi con tono di comando, supplica, dolore, gioia, rabbia, indifferenza speranza, ecc..

Premesse metodologiche per i giochi dei non vedenti

 

Ogni attività motoria, proposta agli allievi non vedenti va fatta sempre sotto forma di gioco per destare un più vivo interesse ed un prolungamento dell’attenzione.

I principi metodologici più importanti da seguire nelle attività di educazione corporea sono:

 

Far sempre verbalizzare le sensazioni provate (affaticamento, tensione, rilassamento…) per interiorizzarle come vissuto cosciente.

Dare ordini verbali precisi, con calma, possibilmente una volta sola per richiedere uno sforzo di attenzione.

Esigere che l’esecuzione non sia approssimativa e confusa.

Qualche volta lasciare spazio anche all’iniziativa personale di ogni singolo allievo.

Lavorare in piccoli gruppi e con sottofondo musicale.

Le esercitazioni devono essere brevi e alternate ad esercizi di rilassamento.

Stabilire subito gli obiettivi che si intendono raggiungere con il gioco.

Eliminare qualsiasi rumore superfluo. Infatti, il non vedente, dovendo acquisire gran parte delle informazioni attraverso l’udito, trarrà grande vantaggio e concentrazione in stato di relativo silenzio.

Affrontare le difficoltà gradualmente.

Specificare con chiarezza i rispettivi ruoli e le regole del gioco.

 

La precisa definizione dei ruoli circa le mansioni operative da eseguire, affidate ai membri del gruppo in relazione alle capacità e le competenze, indurranno il non vedente ad abbandonare ogni comportamento individualistico, adattandosi ai bisogni della comunità, a dominare i propri impulsi e le proprie emozioni e a migliorare le sue prestazioni per l’affermazione di sé apportando un valido contributo alla formazione del carattere e allo sviluppo della personalità di base.

 

Il gioco secondo la pedagogia di Augusto Romagnoli

 

Nel pensiero pedagogico di Augusto Romagnoli, pensiero che fu illuminato da una costante ricerca metodologica e didattica aiutata sempre con l’esempio, il gioco occupa un posto di primaria importanza nell’educazione dell’allievo non vedente. Già nelle primissime pagine di "Ragazzi ciechi", egli iniziò il suo esperimento educativo proprio con l’animazione del moto e del gioco che avrebbe scosso dal torpore le bambine cieche ricoverate presso l’ospizio romano "Regina Margherita". Appassionare le piccole allieve al movimento e al gioco fu, dunque, per il grande educatore, il suo primo scopo, poiché esso rendeva possibile la loro autonomia motoria.

Ma per il raggiungimento di questo obiettivo occorrevaricercare sempre nuovi incentivi e nuovi obiettivi che stimolassero continuamente l’interesse e la curiosità delle allieve.

Ma stimolare solamente l’interesse delle allieve non era il solo obiettivo da raggiungere ma occorreva anche saper ottenere una graduazione ottimale dei giochi stessi e dello sforzo muscolare occorrente, che eviterebbe nell’allievo scoraggiamenti e depressioni dovuti all’insuccesso.

Pertanto, il gioco deve saper stimolare capacità come il coraggio nell’affrontare lo spazio circostante, sviluppo dell’attenzione e della memoria tattile, uditiva, muscolare, ecc., agilità nei movimenti, affinamento delle capacità di percezione degli ostacoli, stabilità dell’equilibrio statico-dinamico del corpo, sviluppo dell’orientamento spazio-temporale, velocità di esecuzione, ecc.

 

Lo sport ed il suo valore formativo

 

 

Per il non vedente, l’attività sportiva ha un valore primario, tanto quanto il gioco, rivestendo una notevole importanza rispetto al movimento libero, privo di regole fisse e di condizionamenti indotti da altri per il perfezionamento ed il potenziamento della struttura psico-fisica.

Lo sport, così come l’attività ludica, ha anche un ruolo molto importante, soprattutto se praticato in gruppo, basato sul rapporto interpersonale, sull’interazione, sulla cooperazione e la suddivisione dei compiti fra i membri del gruppo-squadra, essendo tutti cointeressati alla buona riuscita di un’attività, al raggiungimento di un fine comune.

Attraverso la pratica sportiva, il non vedente, in seguito ad un costante e continuo contatto con altri individui, uscirà dal proprio isolamento, acquistando una maggiore sicurezza e fiducia nelle proprie capacità, una più precisa immagine di sé nello spazio, l’affinamento della struttura motoria generale, dell’attenzione, della concentrazione e della memoria spaziale. L’avviamento di un non vedente ad una pratica sportiva, per prima cosa, presuppone che il soggetto abbia superato la paura dello spazio, del vuoto, che abbia una buona conoscenza del rapporto fra sé e l’ambiente circostante (direzione, altezza, profondità, spessore, distanza, lunghezza) ed anche che gli educatori o gli allenatori procedano senza facili improvvisazioni, che potrebbero creare, nel migliore dei casi, disorientamento. Inoltre dovrebbero adottare una metodologia chiara nello stabilire le difficoltà da affrontare, i tempi di esecuzione dell’esercizio e gli strumenti da adoperare.

Sarà necessaria, inoltre, la preventiva esplorazione, da parte del non vedente, degli ambienti in cui dovrà svolgersi l’attività sportiva, affinché egli possa crearsi delle rappresentazioni mentali che, nell’attenuare il timore dello spazio, gli consentiranno di eseguire al meglio la prestazione fisica.

Le attività sportive accessibili ai non vedenti e da questi praticate sono numerose, sia scolasticamente sia a livello agonistico.

Gli sport agonistici individuali o di squadra, che stanno a dimostrare le capacità operative che il non vedente può affrontare, in Italia sono regolamentati dalla Federazione Italiana Ciechi Sportivi che aderisce alla FISH (Federazione Italiana Sport Handicappati) costituitasi nel 1980 e nella quale confluiscono l’ANFFAS, l’ANSPI e la FISM.

Sono in via di sviluppo, (tra le molte attività sportive come il nuoto, l’atletica leggera, la lotta, ecc.), le arti marziali, il tandem e la corsa campestre, praticate dai non vedenti con buoni risultati, anche se a livello agonistico, pur non volendo entrare in polemica, possono avere un indiscutibile valore solo quelle attività che possono essere praticate dal non vedente in maniera del tutto autonoma poiché un’attività sportiva che richiede l’aiuto di un compagno che guidi il non vedente a superare degli ostacoli che possono presentarsi lungo il percorso non è opportuna né dal punto di vista sportivo, né per quanto concerne la formazione del carattere del non vedente.

Diverso è il discorso come nel caso della lotta, dove l’arbitro, fra i suoi compiti istituzionali, si preoccupa di ripristinare il contatto dei gareggianti, senza che vi sia, però, una partecipazione simbiotica alla gara, che potrebbe risolversi a vantaggio o svantaggio del risultato del non vedente.

CONCLUSIONE

 

In un’ottica pedagogica

 

 

Lavorare in psicomotricità significa lavorare con il corpo, il movimento, l'azione riferiti non solo al bambino ma anche al proprio corpo come mezzo di relazione.

Significa comunicare con il bambino attraverso un linguaggio che, nell'azione, impegna tutta la nostra personalità con il gesto, l'atteggiamento, la mimica, il contatto: questo ci permetterà un'autentica relazione.

Il bambino, fino ai sei, sette anni, vive una globalità in cui si vede e si sente un tutt'uno con il mondo, ingloba le esperienze intorno a lui, esperienze di tipo sensoriale, percettivo, logico, espressivo, creativo.

Ingloba il camminare dell'altro, il ritmo dell'altro, il suono della voce, l'atteggiamento affettivo di relazione fra un educatore e l'altro, fra i due genitori, fra i genitori e l'educatore.

Praticamente tutto ciò che esiste intorno a lui lascia una traccia sul suo corpo, sul suo modo di essere.

Delle migliaia di gesti, di posizioni, di cui il nostro corpo è capace, non resta ormai più che un pugno di stereotipi ammessi dalla società nella quale cresciamo.

Nel corso dei secoli l'educazione occidentale si è sforzata di uccidere la "bestia", reprimere il corpo, per meglio valorizzare lo spirito.

Della macchina perfetta abbiamo fatto un meccanismo sommario, limitato, di cui molti ingranaggi, troppo a lungo inutilizzati, sono arrugginiti.

La pratica psicomotoria è innanzitutto un tentativo di tutte le funzioni schiacciate sotto il peso delle convenzioni.

La prima cosa da fare è disfarsi del dualismo corpo-mente e rivolgersi all'individuo come persona.

Il corpo, come abbiamo più volte ricordato, è il primo mezzo di percezione e di espressione del bambino, ed anche di comunicazione con gli altri.

Ma affinchè possa esprimersi, bisogna lasciarlo libero di farlo.

Non si tratta, tuttavia, di un "lasciar fare" passivo ed all'infinito.

L'attività del bambino, per non esaurirsi sterilmente, ha bisogno di essere canalizzata e guidata.

Ciò in cui crediamo è una pedagogia in cui il bambino propone e l'adulto, con il bambino, dispone.

Questo quadro pedagogico, tende ad articolare la libertà di agire del bambino e l'aiuto che può dargli l'adulto nel perseguire la conoscenza di se stesso e del mondo.

Interverremo quindi verbalmente e gestualmente, unendoci a lui nell'azione, vivendo con lui situazioni da lui stesso create e, se ne avremo capito profondamente le motivazioni, riusciremo a farle evolverei aiutando i bambini ad approfondire e struttura re la loro ricerca.

Ci sembra importante sottolineare, a questo punto, che la pratica psicomotoria non deve essere un'attività sovrapposta o separata dalle altre proposte in classe. Le scoperte e le acquisizioni pratiche e concettuali, realizzate nel corso delle attività corporee, si devono prolungare nelle altre situazioni educative.

Devono preparare e completare, sia dal punto di vista dell'interesse che della comprensione, le arti plastiche, l'espressione linguistica, la logico matematica, la prelettura, la prescrittura.

L'organizzazione pedagogica della giornata si trova cosi unificata, e le diverse attività si articolano in modo da trattare un concetto o un tema attraverso vie diversificate e complementari.

Le attività corporee giocano un ruolo importante nell'educazione poichè mettono in moto simultaneamente la motricità, l'intelligenza e l'affettività del bambino.

I legami fra l'attività corporea e l'attività mentale si evidenziano nel corso dell'evoluzione dell'intelligenza pratica, intelligenza delle situazioni agite, che diverrà in seguito più schematica ed astratta.

Le pratiche cognitive si elaborano con il confronto dell'azione del bambino con la realtà fisica e sociale.

Questi confronti condurranno il bambino al perfezionamento della realizzazione motoria, al bisogno di conservare una traccia della sua azione.

Ciò lo conduce molto naturalmente alla rappresentazione simbolica del vissuto.

Questa rappresentazione si traduce nel disegno, nel linguaggio, nel modellaggio...

E' indispensabile pertanto che il bambino abbia l'occasione di investirsi emotivamente nelle sue azioni perché si effettuino queste pratiche cognitive.

Ciò suppone che egli abbia una parte d’iniziativa nella realtà delle azioni e che prenda in carico il loro svolgersi.

Significa anche che non basta far agire il più possibile il bambino per aspirare ad un'educazione attraverso il movimento.

Bisogna che le azioni vengano dal bambino stesso, che queste azioni si ordinino progressivamente e tendano:

 

ad un'organizzazione cognitiva, pianificazione dei gesti per raggiungere uno scopo, acquisizione di un concetto rilevante dello spazio, del tempo, della quantità, rappresentazione simbolica (disegno, simbolo grafico ...)

 

ad un'organizzazione dell'espressione emotiva attraverso la rappresentazione corporea dell'immaginario, drammatizzazione di una storia, di una musica.... mettersi nei panni di un personaggio.

 

Un'educazione che accorda un posto al corpo dinamico del bambino, tenta di mantenere nei suoi obiettivi pedagogici l'interdipendenza della motricità, dell'intelligenza e dell'affettività. In quest'ottica ciò che ci sembra fondamentale è l'atteggiamento dell'educatore, il suo modo di essere con il bambino in ogni momento della giornata.

I suoi interventi sul bambino sono diretti o indiretti e si traducono in una presenza, uno sguardo, una parola, un toccare, un sorriso, una frase, un'azione, un gesto, una postura.

Riassumendo, i suoi interventi si fanno con la presentazione di stimoli diversi che incitano il bambino ad un adattamento costante alla novità.

I suoi interventi incoraggiano il bambino a trasporre o adattare le sue conoscenze a piani differenti (azione, musica) i suoi interventi aiutano il bambino nelle relazioni con i compagni, con l'adulto e servono anche ad aiutare il bambino a sentirsi bene con se stesso.

L'affettività del bambino è tenuta presente in tutte le situazioni, poichè il comportamento è altrettanto importante delle acquisizioni motorie ed intellettuali.

Appare dunque evidente che la pratica psicomotoria, in quest'ottica globale, non è una tecnica da utilizzare in palestra, un sostituto dell'educazione fisica, ma è un atteggiamento pedagogico che, partendo dal bambino, dai suoi interessi, dal suo essere come persona, lo accompagna affiancandolo e sostenendolo nel non sempre facile cammino verso la maturità intellettuale ed affettiva.

Si tratta, in altri termini di dare o ridare un posto all'emotività, non solo nell'educazione, ma anche e soprattutto nella quotidianità della nostra vita, con la coscienza profonda che non si può negare che l'uomo è inscindibilmente costruito sulle emozioni e sulla ragione e, negando la prima, non si fa che snaturare, deformare, immiserire la realtà.

In quest'ottica rivalutare il corpo significa non riscoprire la macchina perfetta, esteticamente appagante, armoniosa, ma cerca re la comunicazione con tutto il vivente, lasciare spazio alle risonanze più nascoste, essere capaci di commuoversi e di sorridere, di trovare ed utilizzare tutta la gamma di emozioni di cui, ognuno di noi è ricchissimo.

Questo, ci sembra, è il "come essere" pedagogico dell'educatore della prima infanzia, ciò che apre la via ad ogni conoscenza ed acquisizione.

 

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

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